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L’intervista a Ginevra della Porta, Chief Innovation Officer di SAES. La società è alla ricerca di aziende promettenti con cui sviluppare partnership industriali
«Scienza e ricerca sono il cuore di SAES dalle origini. Durante la sua storia, iniziata oltre 80 anni fa, SAES ha contribuito a dare forma a tecnologie chiave in molteplici settori e che si sono rivelate capaci di migliorare la qualità della vita delle persone». Ginevra della Porta, Chief Innovation Officer di SAES, è la nipote dell’ingegnere Paolo della Porta, fondatore dell’azienda che dal 1940 ha sempre puntato a sperimentare, allargando i propri ambiti di business nell’ambito dei materiali avanzati. Sono oltre 300 i brevetti depositati e presenti sotto forma di prodotti in moltissimi oggetti di uso comune, come la televisione.
Chi sa cos’è il Getter?
Dentro alla tecnologia del tubo catodico su larga scala c’era il “Getter”, un’innovazione di SAES che, tramite la creazione di uno stato di vuoto e di assorbimento dei gas, ha permesso di bypassare il problema dell’esaurimento repentino della vita utile del tubo catodico, rendendo di fatto l’apparecchio un bene di consumo per tutti. «Negli anni SAES – prosegue della Porta – ha saputo cambiare gli equilibri e affermarsi a livello mondiale in diversi settori di mercato: dal medicale all’elettronica, dalla chimica al packaging. Oggi l’azienda guarda ancora più avanti aprendosi al mondo delle startup in ambito deeptech, intuendone il grande potenziale di sviluppo nell’ambito dei materiali avanzati, con il programma di Open Innovation RedZone».
L’intervista è dunque l’occasione per scoprire come l’azienda si voglia presentare al mondo delle startup, in un’ottica di collaborazione che punta soprattutto alla qualità. «Siamo abituati a cambiare pelle e vogliamo farlo ancora una volta oggi, aprendo le porte dei nostri laboratori a startup che condividano i nostri obiettivi e che portino una proposta innovativa e concreta nell’ambito dei materiali avanzati, il cui sviluppo è evidente, può aiutare il pianeta a risolvere le sfide del domani».
RedZone: come funziona
Se guardiamo alle necessità dell’ecosistema italiano delle startup, ormai maturo dopo oltre dieci anni dalla prima legge che ha normato il settore, è chiaro che grandi aziende come SAES abbiano ora la necessità di stabilire partnership industriali con startup early stage che nel giro di un anno puntino ad arrivare a sviluppare un MVP (Minimum Viable Product) da lanciare. «La prima call si è chiusa da poco – ci ricorda Ginevra della Porta – e abbiamo individuato due aziende innovative con cui stiamo iniziando la collaborazione. L’obiettivo è trovare startup in fase iniziale, con un TRL comunque adeguato, che viene valutato di caso in caso, per portarle a sviluppare prodotti da lanciare sul mercato ed eventualmente da inserire nel catalogo di SAES».
RedZone non è un nome scelto a caso dall’azienda. «Il rosso è il nostro colore da sempre. La zona rossa è un terreno rischioso dove però ci si muove e si va veloci mettendo le mani in pasta». In altre parole, il luogo dove una deeptech innova, compiendo quel salto di qualità che trasforma un’idea allo stato embrionale in un progetto scalabile. «Suddividiamo il lavoro in due fasi, la prima dura tre mesi e si conclude con la presentazione di un proof of concept. Dopodiché, la startup può accedere alla seconda: da sei mesi a un anno di tempo per arrivare a un MVP».
Laboratori per startup
I RedZone Open Lab si sviluppano all’interno dei 3mila metri quadri del sito di R&D di SAES a Lainate, a nord ovest di Milano, all’interno dei quali la società studia e produce nuovi materiali avanzati per elettronica, packaging, domotica intelligente, automotive e apparecchiature scientifiche, abilitando un gran numero di applicazioni che spaziano dagli acceleratori di particelle (come quello del CERN di Ginevra) al packaging completamente compostabile che troviamo nei supermercati.
Le startup che parteciperanno a RedZone avranno a disposizione 400 ore da spendere nei laboratori per sviluppare i propri prodotti innovativi e quindi per scalarli su linee pilota pensate appositamente per dare risposte concrete sulla fattibilità industriale. Macchinari complessi e costosi a cui una startup non riuscirebbe ad accedere, con funzioni di vario tipo: dalla miscelatura ad alta precisione, all’essiccatura. I settori verso cui RedZone al momento ha mostrato interesse sono differenti e rendono l’idea di come SAES spazi fra i comparti: troviamo la cosmetica, il packaging, i sensori, i biomateriali e gli additivi innovativi.
«Non è un laboratorio per ricerca pura, ma un luogo in cui la ricerca si fa impresa». Le startup avranno accesso al know-how e alle competenze di oltre trenta tecnici e ricercatori che le supporteranno nel loro percorso, nonché al continuo supporto da parte di mentor e dell’ufficio brevetti. Puntare sul contributo esterno di imprenditori e imprenditrici innovativi completa il lavoro che SAES svolge al proprio interno. «Investiamo importanti percentuali del fatturato in ricerca e sviluppo, con punte nel recente passato di oltre il 10%. Lavorare con le startup rappresenta per noi un ampliamento dello spettro di innovazione e – conclude della Porta – crediamo fortemente che la contaminazione delle idee e delle competenze possa portare a risultati straordinari».