L’agenda delle rinnovabili deve fare i conti con la realtà. «Le nuove tecnologie connesse alle rinnovabili non garantiscono continuità e garanzie energetiche necessarie a tenere in sicurezza il sistema nazionale». Le parole del docente di Chimica dell’ambiente
Tra gli effetti dell’invasione russa in Ucraina, quello dell’incremento dei prezzi delle materie prime e delle risorse è senz’altro tra i più percepiti (e sofferti) dalla popolazione e dalle aziende. In risposta alle azioni di Putin, l’Europa sta procedendo da mesi, in maniera non proprio ordinata, su vari tracciati che dovrebbero ridurre le dipendenze dell’Occidente dalla quota di gas fornita finora da Mosca al vecchio continente. Nel frattempo l’Italia ha accolto con ottimismo la scoperta di un giacimento di gas a largo di Cipro. Cronos-1 è stato individuato da Eni, con l’auspicio da parte dell’azienda stessa di aumentare le forniture di gas all’Europa. Per approfondire questioni complesse come quelle dell’energia nel suo insieme, dalle tecnologie fino alla filiera passando per gli investimenti, ci siamo rivolti a Gianluigi de Gennaro, docente di Chimica dell’ambiente all’Università di Bari – ateneo dove è anche Presidente del Centro d’Eccellenza per l’Innovazione e la Creatività – e membro della Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale Via-Vas al Ministero della Transizione Ecologica.
Si è letto che con la scoperta del pozzo Cronos-1 a Cipro l’Italia abbia fatto un passo in più verso l’indipendenza da Mosca. Cosa ne pensa?
«Abbiamo nuovi elementi su cui ragionare. Non staremmo anzitutto parlando di quantità di gas eccezionali. Le cifre sembrano essere nell’ordine di 70/80 miliardi di metri cubi annui. L’esperienza ci ricorda che, una volta arrivati gli investimenti sulle esplorazioni, si ottengono sì nuove ricerche su altri giacimenti vicini. Ma non sono 800 miliardi di metri cubi. Parliamo di volumi abbastanza risibili. Di recente si è poi discusso dei pozzi egiziani, ma bisogna chiarire: non tutto il gas di Eni finisce necessariamente in Italia».
“L’investimento sui fossili si è ridotto moltissimo. La finanza si è spostata sulle rinnovabili”
Lei ha parlato di investimenti per quanto riguarda le esplorazioni. Stiamo parlando di risorse pubbliche o private?
«Gli investimenti nelle esplorazioni sono di tipo privato. Non c’è un investimento pubblico importante. Il tema da affrontare è che l’investimento sui fossili si è ridotto moltissimo: la finanza si è spostata sulle rinnovabili. Prima ancora dello scoppio della guerra in Ucraina, i cambiamenti climatici hanno determinato un’accelerazione nella riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili. Le nuove tecnologie connesse alle rinnovabili non garantiscono però continuità e garanzie energetiche necessarie a tenere in sicurezza il sistema nazionale. Bisogna fare la transizione, ma mantenere una quota di gas».
Ha reso l’idea della complessità della situazione. Ma quale sarebbe il percorso da compiere?
«Ritorno alla scoperta a Cipro. Bisogna chiedersi fino a che punto può servire questo gas nel medio termine. Questo perché la tendenza è andare verso le rinnovabili. Nell’immediato viviamo d’altra parte la situazione opposta: dipendiamo da alcuni paesi, non sempre affidabili, e quindi notizie come queste possono esser comunque interessanti. Ma attenzione: le forniture di quel gas non arriveranno prima di un paio d’anni».
E intanto cosa dobbiamo aspettarci dagli investimenti nel settore energy?
«Con l’avvento delle rinnovabili è stata attratta una parte degli investitori che prima non operava su questi temi. Nel mondo startup si è attivato un fronte di fondi sul green. In merito alla nuova finanza mi sento di dire che è sempre più specializzata sulla sostenibilità: si parla di clean-tech, idrogeno, batterie. Gli attori tradizionali tendono invece a diversificare. Tra le corporate, Enel ha compiuto uno switch fortissimo sulle rinnovabili».
Tra i tanti temi della campagna elettorale in corso c’è anche quello del nucleare.
«Sul nucleare abbiamo due debolezze: anche qui pesa la dipendenza dalla materia prima. Si guardi alla Francia che dipende dalle forniture di uranio. E poi conta il capitolo degli impianti nel breve e nel medio termine. Parliamo di strutture che hanno bisogno di rispettare iter burocratici importanti. In un paese fragile come l’Italia, dove ancora stiamo decidendo dove mettere le scorie, si può solo immaginare come potrebbe finire. Sulla nuova generazione del nucleare al momento non ho preclusioni, ma bisogna andar su qualcosa di concreto».
Parlando dunque di cose concrete, la presenza di startup nel settore dell’energia è in crescita. Qual è il trend?
«Vedo grandissimi spazi nell’energia in generale, non soltanto in Oil&Gas. Ci sono tantissime attività sul fronte delle nuove energie e delle modalità di produrle. L’idrogeno è un tema da startup, molto più che da impresa consolidata. A livello internazionale si punta molto sulle comunità energetiche, con grandi sfide dal punto di vista gestionale e tecnologico. Credo che ci sia un orientamento maggiore all’elevata specializzazione e all’innovazione spinta. L’energia è un tema necessariamente connesso a ricerca e sviluppo, all’accademia. Non basta esser creativi e fare l’app giusta. Oggi il mercato vuole ricevere proposte raffinate».
“L’idrogeno è un tema da startup, molto più che da impresa consolidata”
Abbiamo già toccato il tema dell’autonomia energetica. Ma anche se avessimo tutte le risorse in casa, sapremmo gestirle dal punto di vista tecnologico?
«Occorre una strategia per evitare di passare da una dipendenza a un’altra. Se parliamo di acqua, sole e vento l’Italia può senz’altro dire la sua. Ma per sviluppare quelle tecnologie c’è bisogno, ad esempio, di litio. Continuiamo a dire di trovare più gas, ma la domanda da porsi è: sarà questo il futuro? Qual è lo scenario energetico? Bisogna fare i conti con quel che c’è e porre attenzione alle tecnologie. Lo scenari energetico deve essere a misura dei singoli paesi. Il ragionamento strategico deve associarsi a quello scientifico. C’è ancora troppa ideologia».
Come sarà la futura geografia delle rinnovabili?
«Credo che l’idrogeno verrà prodotto soprattutto in Nord Africa, e poi dovrà essere trasportato in Europa. Là si potranno costruire grandi parchi eolici e solari per garantire la continuità di produzione. In Europa le hydrogen farm dovrebbero fare i conti con la ristrettezza degli spazi. Io vivo in Puglia, regione che sarà invasa da installazioni di rinnovabili. I territori qui potrebbero dover rinunciare a vocazioni economiche come quella turistica. Tutte le energie sono buone, ma anche cattive».
“In Italia la svolta la svolta è arrivata con l’importante impegno di Cassa Depositi e Prestiti. Questo ruolo ha costretto tutti ad essere seri rispetto a certi impegni”
Sono anni che le grandi corporate hanno avviato percorsi di open innovation.
«Si comincia a fare sul serio. Negli anni passati abbiamo visto un incremento di incubatori e acceleratori legati a corporate, che però li utilizzavano spesso per fare green washing. In Italia la svolta è arrivata con l’importante impegno di Cassa Depositi e Prestiti. Questo ruolo ha costretto tutti ad essere seri rispetto a certi impegni. L’innovazione delle startup è dirompente non soltanto per le tecnologie, ma anche per il management».