Ha scritto “Ho un fuoco nel cassetto”, appena uscito per Salani Editore
«Mi sono riflessa in tante di quelle storie per bambine ribelli. Scriverle mi ha aiutato a vedere la mia, attraverso una lente nuova. Quel libro finisce con un invito a scrivere la propria storia, con tanto di illustrazione. E con quest’altro libro è un po’ come se avessi accolto il mio stesso invito». Francesca Cavallo, autrice del bestseller Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 donne italiane straordinarie, imprenditrice – ha fondato la media company Undercats – e attivista ha teso questa corda tra l’opera che l’ha proiettata nel mondo con milioni di copie vendute e quella fresca di stampa in cui è la sua, di vita, a essere raccontata. Ho un fuoco nel cassetto, edito da Salani Editore, è appena uscito nelle librerie. Un’autobiografia che non parla di startup. O meglio: un’autobiografia che dà priorità alle cose che importano davvero. A cominciare dal proprio posto nel mondo, da individuare volendosi bene.
SI: Ho un fuoco nel cassetto è un libro che parla di te. Parte dal terremoto che ti ha sconvolto nel 2019. Dopodiché inizia un flusso di ricordi.
Francesca Cavallo: «Ho iniziato ad accumularne i frammenti durante il primo lockdown. Andandomene da Los Angeles in fretta e furia, mi sono ritrovata per caso a Roma, ospite a casa di amici. Nel tempo della pandemia ho riflettuto molto. E ho pensato a quando avevo fatto le presentazioni dell’altro mio libro, Elfi al quinto piano. Durante quegli incontri parlavo tanto di me, del fatto che non avevo mai avuto certi modelli. La risposta emotiva da parte del pubblico era molto forte. Da lì è nato Ho un fuoco nel cassetto. Spero che raccontare la mia storia possa servire agli altri. Come una sorta di manuale di evasione».
SI: Scrivi del mondo in cui sei cresciuta. E lo definisci cattivo. Quanto sono cattivi invece i nostri tempi?
Francesca Cavallo: «Nello specifico del libro mi riferisco alla provincia di Taranto negli anni ’80. Era un posto violento. Oggi senza dubbio il mio paese, Lizzano, ha fatto tanti passi avanti. Ma così ovunque. Sono stata di recente al Salone del Libro di Torino, e ho visto presentazioni di ragazze su progetti di fotografia riguardanti la depilazione; ho sentito altre raccontare di come superare certe remore sulla mascolinità. Se da un punto di vista sociale e di consapevolezza si son fatti passi avanti, la cosa che fa rabbia è che da un punto di vista politico tutta questa strada non è stata fatta. Io stessa, quando penso a progetti di famiglia, mi rendo conto che dovrei ricorrere a sotterfugi. In Italia non c’è adozione per le coppie omosessuali, non c’è matrimonio egualitario».
SI: A cosa ti è servito scrivere Ho un fuoco nel cassetto?
Francesca Cavallo: «Mi è servito a fare il punto. E mi è anche servito a darmi una pacca sulla spalla. Di carattere sono molto focalizzata sul dopo. Nel momento in cui raggiungo un traguardo, non me lo godo. Questo libro significa onorare il lavoro che ho fatto e il coraggio con cui ho affrontato diverse situazioni. L’ultima parola (piccolo spoiler, ndr) è “godetevela”. Questo perché le donne fanno fatica: ci sminuiamo e ci sembra di non poterci mai godere nulla. Fatichiamo a dirci “brave”».
SI: Diversi media parlano ai giovani con un linguaggio diverso. Ma secondo te c’è ancora qualcosa che manca?
Francesca Cavallo: «C’è uno spazio immenso da coprire. Quel che manca è la scommessa della mia azienda: puntiamo a un intrattenimento per famiglie che incentivi genitori e bambini a guardare al mondo reale. L’intrattenimento per famiglia è ancora molto focalizzato sulle storie private. Disney, è vero, sta includendo tanti personaggi, ma ci sono ancora poche storie sulla crescita collettiva. E invece noi crediamo che milioni di genitori vorrebbero sognare coi propri figli su che mondo costruire. Uno dei meriti dei genitori millennial è che mai c’era stata una generazione più contigua con quella dei propri figli».
SI: Se parliamo di politicamente corretto…
Francesca Cavallo: «In Italia mi dispiace vedere il dibattito solo nella misura in cui è criticato dai conservatori. Quel banale “Non si può più dire niente”. Visto dagli USA il politically correct è problematico nella misura in cui si pensa che usare le parole giuste esaurirebbe il lavoro. Ma smantellare l’omofobia richiede uno sforzo molto più profondo. Non riguarda soltanto sapere che parole usare. Purtroppo da parte di tante élite l’ossessione per la correttezza del linguaggio maschera una volontà di non sviluppare questa operazione a cuore aperto. Il politically correct non vale nulla senza il cuore».
SI: Restando negli USA, nel tuo libro racconti una Silicon Valley drammatica.
«In Silicon Valley ho avuto la stessa impressione di molti altri. Mi ero trasferita là pensando fosse la Mecca, ma se hai un’etica solida, se ti fai mettere in crisi da quel che vedi, allora significa che pensi con la tua testa: è di questi imprenditori che c’è bisogno. Se l’ossessione è il denaro allora non ha senso fare impresa. La Generazione Z non chiede questo al mercato. La mia, di generazione, è cresciuta con l’idea che chi fa business deve essere equidistante rispetto alla politica. Ma questo paradigma è entrato in crisi. Ora l’imprenditore deve chiedersi “Qual è il pezzo di mondo che voglio creare?”. Gli imprenditori devono pensare attivisti».
SI: Fin dai tempi di Timbuktu Labs non volevi una app che rendesse dipendenti i bambini. Quali sono le metriche che ti interessano?
Francesca Cavallo: «Le metriche sono legate ai libri. Le copie vendute sono un dato. Ma anche i numeri di subscriber alla newsletter. La mia azienda Undercats continua ad avere una vocazione internazionale».
SI: Cosa non viene raccontato nell’ambito dell’innovazione?
Francesca Cavallo: «In Italia viene raccontato poco quello che si sta muovendo nei media. Mi riferisco al panorama dell’intrattenimento streaming e alle acquisizioni di società che producono IP. Non è mai stato così grande il valore del contenuto di alto livello. Ci si è resi conto che il contenuto è l’asset più scalabile che esiste».
SI: Chi leggerà il tuo libro scoprirà un percorso di crescita e, inevitabilmente, di fatica e sofferenza. Come stai oggi, Francesca?
Francesca Cavallo: «Sto vivendo la vita che ho sempre sognato. Roma mi piace da morire. Mi sono costruita una famiglia queer, quella che sognavo di avere a Los Angeles nel 2015. Sono molto felice. E consapevole che non sono arrivata. Tanto altro mi metterà alla prova. Ci tenevo che il mio libro non venisse fuori come il libro delle ricette di chi ce l’ha fatta. Questo è il mio viaggio che può darvi coraggio».