Chi ha detto che per farvi balzare sulla sedia i videogiochi horror debbano per forza avere una grafica fotorealistica?
Se credete che per mettere assieme un gioco horror sia necessaria una grafica ultrarealistica simile a quella di Resident Evil Village (a proposito, letta la nostra recensione?), probabilmente non avete mai giocato alla saga di Yomawari, che conta oggi di tre capitoli: Night Alone, Midnight Shadows (recuperabili su Switch nel pacchetto Yomawari: The Long Night Collection) e Lost in the Dark. Sviluppata da Nippon Ichi Software, Inc., questa serie si caratterizza infatti soprattutto per via della sua grafica dall’alto, come i vecchi JRPG di una volta e, al pari dei titoli d’antan, ripesca sprites e fondali che paiono strizzare l’occhio all’epopea dello SNES.
Un sapiente uso di ombre, effetti luce e un altrettanto arguto riciclaggio di alcune leggende metropolitane nipponiche, opportunamente mischiate con tradizioni più antiche, legate al folklore locale, riescono comunque a rendere ogni capitolo della serie Yomawari piuttosto inquietante e Lost in the Dark non fa eccezione.
Per la verità, questo nuovo episodio sfrutta un po’ troppo trovate e situazioni visti dei due titoli precedenti. In alcuni frangenti il riciclo è evidente, quasi fastidioso.
Se a questo si aggiunge che pure Yomawari Lost in the Dark è ambientato nella medesima cittadina di Night Alone e Midnight Shadows, viene da chiedersi se gli sviluppatori abbiano puntato al massimo risultato facendo il minimo sforzo.
Anche per questo, ci sentiamo di consigliare Yomawari Lost in the Dark soprattutto ai neofiti della serie: gli altri non proveranno certo il medesimo senso di “novità”, quanto piuttosto una fastidiosa sensazione di “già visto”. A livello di gammeplay, come tanti altri horror sviluppati a basso costo ma capaci di regalare diversi attimi al cardiopalma, anche Yomawari Lost in the Dark poggia la propria ragion d’essere sull’utilizzo della torcia.
Tutte le ambientazioni sono difatti immerse nell’oscurità e la torcia sarà la vostra unica alleata. C’è però un problema: usarla troppo attira i demoni, il cui contatto causa immediatamente al giocatore la penalità del game over col conseguente ritorno alla schermata del titolo di gioco. Viceversa, non usarla affatto vi farà brancolare nel buio e, soprattutto, vi impedirà di raccogliere gli oggetti fondamentali per proseguire con la trama.
La protagonista di fatti ha perso la memoria e ha solo una notte di tempo per ricordare che le è accaduto nelle ore precedenti al suo risveglio in questa inquietante cittadina, o sarà maledetta a vita. Il solo modo per riuscirci, guarda caso, è legato al rinvenimento di una serie di item che le sbloccheranno via via i ricordi.
Apprezzabile il tentativo di rendere l’opera ancora più immersiva sfruttando i suoni dell’ambiente circostante: un sinistro scampanellio vi indicherà la vicinanza di oggetti chiave, mentre il cuore che inizia a battere all’impazzata della protagonista vi metterà in guardia dalla presenza di forze demoniache invisibili che si fanno sempre più vicine.
Ovviamente, la necessità di ascoltare nitidamente questa tipologia di suggerimenti sonori, unita al buio pesto delle ambientazioni, fanno sì che Yomawari Lost in the Dark non possa essere utilmente giocato in modalità portatile, magari fuori casa.
L’ideale è giocarlo sul televisore del salotto, ma se avete la Switch Lite, piuttosto optate per la combinazione “scuri abbassati + cuffie ben premute nelle orecchie”: l’immedesimazione ne guadagnerà parecchio. Insomma, Yomawari Lost in the Dark fa il suo e senz’altro piacerà sia agli amanti degli horror, sia a coloro che adorano i titoli ambientati in Giappone.
Purtroppo il riciclo delle ambientazioni e di diverse trovate dai due titoli precedenti segano le gambe all’effetto sorpresa, ma la qualità del titolo resta comunque su livelli piuttosto alti. In diverse occasioni, comunque, gli inquietanti demoni che brulicano per la spettrale cittadina sono riusciti a farci balzare sulla sedia, togliendoci diversi minuti di vita (reale) grazie a shock improvvisi. Da un ipotetico quarto capitolo, però, esigiamo un brusco taglio col passato.