Dalla Germania arriva un’avventura isometrica che si rifà palesemente alla Leggenda Nintendo. Il mondo dei videogiochi conoscerà una nuova perla o l’ennesimo clone?
Altro giro, altro gioco palesemente ispirato a Zelda. Per carità, nulla di male, anzi. Del resto qualcuno bisognerà pure prendere a modello e allora tanto vale che sia il migliore nel suo campo. Come The Legend of Zelda, appunto. E Xel non fa certo mistero di essere solo l’ultimo videogame sviluppato da una software house indipendente che vuole emulare le gesta del prode Link, mai domo guerriero al servizio di Hyrule.
Soltanto negli ultimi due anni abbiamo recensito almeno una decina di titoli sviluppati da startup innovative che hanno tentato di rivaleggiare con il capolavoro Nintendo e i risultati sono stati altalenanti. L’ultimo recensito, in ordine di tempo, era stato Anuchard, sviluppato dalla startup indonesiana stellar-Ø o stellarNull che aveva preceduto di qualche mese Ocean’s Heart firmato Nordcurrent. Final Sword Definitive Edition (qui la nostra recensione) da Zelda aveva perfino preso le musiche, tanto che ha dovuto sostituirle in fretta è furia per non incorrere in seri guai legali. Resta comunque un dolore atroce, tanto alla vista, quanto per il nostro ego videoludico. Stategli lontano.
È andata meglio a Oceanhorn 2 (qui la nostra recensione), che ha deciso di scopiazzare un capitolo in particolare, almeno per lo stile grafico, cioé Skyward Sword (che nel frattempo è arrivato su Switch, come The Legend of Zelda Skyward Sword HD ). Non male, ma il titolo originale resta su altri livelli. Rogue Heroes: Ruins of Tasos (qui la recensione) si è invece ispirato allo spin-off multiplayer Zelda: Four Swords Adventures, ma è sicuramente andata meglio a Ary and the Secret of Seasons (lo abbiamo testato qui) che, nonostante i limiti, ha saputo divertirci.
Bocciato su tutta la linea, invece, il noiosissimo Windbound (lo abbiamo recensito qui). Pure diversi team italiani si sono cimentati nell’impresa: da un lato abbiamo Baldo: The Guardian Owls (qui la recensione), che non si è rivelato proprio all’altezza delle aspettative, ma è senz’altro tra i cloni che sono riusciti a distinguersi, dall’altro Racoonie (qui l’anteprima), un titolo tuttora in via di sviluppo che speriamo possa far parlare bene di sé.
E ora spazio alla recensione di Xel
E ora tocca a Xel. Tocca finalmente a Xel, aggiungiamo, perché non neghiamo certo di averlo atteso con impazienza, proprio per via della sua natura e del suo stile grafico, accattivanti in egual misura. Sviluppato dalla software house tedesca Tiny Roar, fondata nel 2015, questa produzione bavarese ci cala nei panni di Reid, una ragazza precipitata in un mondo alieno, apparentemente desolato, certamente ricco di insidie.
Rispetto alla formula classica degli Zelda, il mondo di gioco di Xel è vincolato da una progressione decisa a priori dagli sviluppatori. Questo significa che, sebbene abbondino i bivi, specialmente all’inizio non si potrà andare dove si vorrà, limitandosi a seguire pedissequamente il tracciato già… tracciato, appunto. Le fasi esplorative si dischiudono poco alla volta, come nei metroidvania, pertanto sforzatevi di tenere a mente dove si trovano le strade bloccate e alle quali bisognerà ritornare in un prossimo futuro perché la mappa non sempre collabora come dovrebbe.
Una volta recuperati spada e scudo, le somiglianze con The Legend of Zelda si faranno davvero forti, ma Xel ha comunque modo di presentare caratteristiche tutte sue, come lo snello sistema di combattimento che, legando la parata al consumo della stamina, si fa inaspettatamente strategico, consentendovi perciò di scegliere se provare a schivare un colpo o fermarlo, per contrattaccare.
Dove Xel però si dimostra fallace, è nel caos che porta su schermo, dovuto principalmente a una visuale troppo lontana dall’azione. In più occasioni abbiamo faticato anche a comprendere semplicemente la direzione da prendere, in altre le uscite di un quadro o elementi chiave venivano nascosti da particolari del fondale, per non parlare di tutte le volte in cui siamo precipitati in un burrone per colpa della prospettiva che falsava le distanze o semplicemente perché gli sviluppatori hanno deciso che è un ostacolo insuperabile, sebbene poco prima si fossero superate agevolmente con un balzo anche distanze maggiori.
Potremmo aggiungere che Xel è sporcato da una lunga serie di piccoli-grandi bug e glitch che possono perfino costringere a richiamare l’ultimo salvataggio (se il gioco non vi ha fregato con l’auto-save), come personaggi necessari per proseguire che spariscono, porte e scrigni che non si aprono, oggetti che non si riescono a prendere… Ma confidiamo che una patch sani tutto ciò restituendo alle nostre partite la dovuta serenità. Il problema principale di Xel è un altro e sta, appunto, nei suoi spazi poco leggibili, troppo schiacciati da una visuale lontana e non ottimale, troppo affollati da un numero di dettagli superfluo e ridondante, che non risponde a una esigenza ludica ma meramente estetica.
Anche a livello tecnico, purtroppo, Xel non è ispirato come ci era sembrato e soprattutto su Nintendo Switch pare malamente ottimizzato, tra texture che compaiono con diversi istanti di ritardo, rallentamenti generalizzati e un bruttissimo cambio di colori e illuminazione (un vero e proprio salto cromatico) che caratterizza i frangenti nei quali si entra in una grotta o si raggiunge nuovamente la superficie.
L’avventura in sé è pure godibile, benché eccessivamente derivativa (chiavi da recuperare, pulsanti da premere, casse da spostare…), ma ciò che rende l’esperienza frustrante non è tanto l’eccessiva somiglianza ai primi Zelda o la mancanza di idee realmente innovative, quanto il fatto che molto spesso ci si ritrova a girare per zone già superate, magari consumando i pochi cuoricini a disposizione, solo perché la telecamera ci nasconde la via d’uscita…