Un punta e clicca italianissimo, sviluppato dal team veronese di Ciro Camèra, per l’ibrida giapponese
Questa nostra recensione di Willy Morgan and the Curse of Bone Town dimostra ancora una volta come sia sempre più facile imbattersi in produzioni interamente italiane. Soltanto poche settimane fa vi parlavamo di King of Seas, che ci ha portato alla conquista dei sette mari a bordo di un italianissimo galeone pirata salpato da Milano, oggi invece tocca a un tipo di gioco diametralmente opposto, un punta e clicca, che caso vuole è comunque sempre a sfondo corsaro…
Sviluppato dalla veronese Imaginarylab di Ciro Camèra, questo Willy Morgan and the Curse of Bone Town oggetto dell’odierna recensione ci fa vestire i panni di un ragazzo rimasto orfano di padre, il famoso Henry Morgan, esploratore indomito sparito una decina d’anni prima mentre si trovava in visita nella sua città natale, Bone Town.
La vita di Willy trascorre più o meno tranquilla, fino a quando un giorno riceve una lettera del padre: sebbene venga recapitata soltanto ora, è stata scritta poco prima della sua sparizione (del resto, gli sviluppatori italiani conoscono solo l’efficienza del nostro sistema postale…) e contiene fumose indicazioni che inducono il giovane eroe a mettersi in viaggio alla ricerca del babbo.
Giusto il tempo di mettere in sesto la propria, pericolante, bici, e siamo già in marcia. Intriso della magia di classici del genere come Monkey Island e Day of the Tentacle, cui gli sviluppatori, senza troppe cerimonie, strizzano l’occhio a più riprese, ma anche a cult del cinema della caratura de I Goonies, Willy Morgan and the Curse of Bone Town è un punta e clicca vecchio stampo, zeppo di rimandi agli anni ’80 e ’90 che ha nelle atmosfere delle locations e nella caratterizzazione dei folli PNG che incroceremo, il suo punto di forza.
Nonostante Bone Town sia in rovina, i suoi vicoli sono a loro modo memorabili e i buffi figuri che ancora la popolano a loro modo sapranno strapparvi un sorriso. Tutto qui? Purtroppo sì, perché al netto di un comparto artistico soddisfacente e di una serie di tracce audio che non saranno da meno, l’avventura si porta a termine nel giro di due ore e mezza, circa.
Gli enigmi sono molto facili e, nonostante la gran quantità di documenti e oggetti che metteremo nell’inventario, tutto viene ulteriormente accelerato da features moderne come il viaggio rapido e la possibilità di evidenziare a schermo le parti sensibili dello scenario con le quali interagire (l’ideale per non perdere troppe diottrie, soprattutto giocandolo in portabilità su Switch).
Resta comunque un’avventura molto spiritosa e ben caratterizzata. Ma, nonostante si rifaccia a film e videogames tipicamente anni ’80, la difficoltà media calibrata verso il basso lascia supporre che sia più un “Monkey Island per bambini” che non un titolo pensato per chi è cresciuto con quei punta e clicca. Non solo: verso metà gioco, abbiamo avuto l’impressione che tutto accelerasse e si facesse sbrigativo, come se ci fosse il bisogno di “chiudere” in fretta la linea narrativa. Un vero peccato, perché anche se dura appena due orette, Willy Morgan and the Curse of Bone Town sa divertire.