Se state pensando a un social network per come lo avete conosciuto fino a oggi, siete fuori strada. La cinese ByteDance punta a costruire una comunità che bada alla qualità e alla quantità dei contenuti
È un nome che nelle ultime settimane passa di bocca in bocca tra gli addetti ai lavori (e non solo): TikTok sta conoscendo un momento nel quale la sua popolarità, già notevole tra i più giovani, sta crescendo fino alla consacrazione che porterà la piattaforma sullo stesso livello di Facebook o Instagram. Parliamo però di un servizio molto diverso: non sono le connessioni tra gli utenti a determinare il suo funzionamento, e l’esperienza è diversa pure da quella legata alle immagini dell’altra property di Mark Zuckerberg. Quello che conta davvero su TikTok, potremmo dire, è la fantasia: ci sono le “challenge” da seguire e da riprodurre con un pizzico di creatività, piccoli video che diventano un tormentone per un gesto o una canzone, e la totale mancanza di gerarchie (tra gli utenti e tra i temi) può spiazzare al principio. Se entrate nel flusso, però, scoprirete un mondo che davvero a poco o nulla a che spartire con quanto avete visto fino a oggi: e che potrebbe anche piacervi, perché è molto meno costruito e molto più spontaneo di quanto siate abituati a vedere in giro.
Dalla Cina alla conquista del mondo
Un pizzico di storia. Quello che oggi conosciamo come TikTok altro non è che la fusione tra due community molto simili, entrambe nate in Cina: da un lato Musical.ly, che aveva fatto soprattutto della musica e del “lip-sync” (il playback su spezzoni di canzoni famose) il suo cavallo di battaglia. E la più universale TikTok, appunto. ByteDance, che possedeva già TikTok, ha comprato nel 2017 Musical.ly per una cifra superiore ai 700 milioni di euro e ha fuso le due community. Oggi sopravvive solo TikTok, che di fatto opera come una impresa globale a tutti gli effetti da poco più di un anno: un prodotto ancora in via di sviluppo nelle sue dinamiche interne, che potrebbe ricordare a qualcuno quello che era il Twitter degli inizi.
Mentre però Twitter ha avuto le sue difficoltà a definire un modello di business, TikTok sembra avere le idee più chiare: è una community per creativi che ruota attorno ai contenuti, che non punta a costruire relazioni legate a un grafo sociale bensì a connettere la community attorno a temi che possono essere sviscerati in 15 secondi. Tutto ruota attorno al video, e in particolare al video breve e spontaneo: uno strumento di comunicazione semplice e che può essere costruito anche da chi non ha a disposizione strumenti e competenze da videomaker consumato, che incorpora errori e figuracce semplicemente scrollando le spalle e andando avanti. Oppure che può veicolare un messaggio pubblicitario che si rivolge direttamente al singolo consumatore: sia facendo parte di una challenge (quindi di un filone consolidato), oppure provando a ispirare un nuovo tema di discussione. Tutto girato su smartphone e fruito da smartphone.
Il risultato, per il profano, può confondere al principio: un oceano di video apparentemente tutti simili che si distinguono per un particolare, per un effetto speciale applicato grazie ai filtri integrati nella app (ce ne sono sempre di nuovi, sono una delle qualità che più attrae il pubblico), per una trovata che rende più originale la challenge e che magari darà vita a un sotto-prodotto che inizierà a vivere di vita propria. È la cultura del mashup, del remix e del collage, che di certo non è nata su TikTok: ma su questa piattaforma ha trovato un terreno fertile, grazie anche alla platea di utenti che la popola costituita soprattutto da giovanissimi. Dovendo individuare il pubblico di riferimento di TikTok, oggi, lo collocheremmo nella fascia tra i 16 e i 25 anni: una categoria particolare, sfuggente ai media tradizionali e che fa gola a tutti.
Chiariamolo subito, TikTok viene dalla Cina ma punta ad affrancarsi dalle sue origini molto in fretta: l’obiettivo è proporsi come una piattaforma globale, internazionale, che guarda a un pubblico ben preciso. Ovvero quello che è in cerca di una parentesi leggera, magari per farsi quattro risate e soprattutto dare sfogo alla propria voglia di partecipare senza legarsi necessariamente all’attualità (come invece succede ogni giorno su Twitter). Le polemiche su un approccio censorio alla moderazione, seguite alla pubblicazione di un articolo sul The Guardian, si sono già sopite: l’azienda ha fatto sapere che sono vecchio materiale non più in vigore, che l’approccio oggi è diverso.
Quale futuro per TikTok?
Quello che punta a fare ByteDance, che nel frattempo porta avanti con buon successo anche altri progetti media tra cui l’aggregatore cinese di news Toutiau (che ha anche un equivalente occidentale in TopBuzz), è creare un vero e proprio media basato su clip da 15 secondi: con un piano editoriale legato alle challenge, declinato nei diversi Paesi in cui TikTok è attivo (150 nazioni e 75 lingue). Il reclutamento di team editoriali nazionali è iniziato, con l’obiettivo di costituire una forza capace di costruire e adattare le challenge alla cultura di riferimento locale (Italia compresa): le linee guida per la gestione dei contenuti sono ridotte al minimo, e le conversazioni sono centrate soprattutto su gli argomenti che stanno più a cuore agli utenti. Come il cambiamento climatico in questo periodo.
La monetizzazione di questo pubblico (la cui effettiva dimensione è al momento un po’ un’incognita: ByteDance non rilascia dati ufficiali) è uno dei due punti interrogativi di questa fase: esistono degli esperimenti condotti per creare dei meccanismi di profilazione capaci da garantire una pubblicità estremamente mirata, ma soprattutto è facile immaginare come le challenge interattive tipiche della piattaforma possano essere sfruttate da un marchio per avviare una conversazione con i potenziali clienti (e le collaborazioni con marchi come Nike e Vodafone stanno a dimostrarlo). TikTok potrebbe essere davvero il primo media capace di far interagire quasi alla pari i grandi (gli inserzionisti) e i piccoli (gli utenti): e questo apre a una serie di prospettive interessanti. In più le dinamiche di interazione sono basilari: segui un utente, metti un cuore, replica (con un video). Tutto qua, semplice e immediato: pensato per una fruizione continua, disordinata ed erratica, o per meglio dire strutturata secondo schemi che sono tutto tranne che ortodossi.
La natura di questo meccanismo rende complesso immaginare come conciliare un prodotto media tradizionale con TikTok: Facebook e Twitter sono ideali per veicolare un piano editoriale, Instagram può essere adattato per farlo a mezzo immagini (e le stories si sono evolute proprio in funzione di questa esigenza). TikTok però vive del proprio flusso di contenuti totalmente slegato dall’agenda del resto della comunicazione, e fino a oggi non ha praticamente visto la presenza di celebrità note al grande pubblico: su TikTok ci sono giovanissimi sconosciuti ai canali tradizionali che raccolgono milioni di follower e visualizzazioni, che magari diventano testimonial per marchi affermati che puntano a rivolgersi a un pubblico diverso. Oggi i “famosi” tradizionali hanno notato TikTok e si sono affrettati ad aprire un proprio profilo, ma riuscire a inserirsi in un meccanismo consolidato può essere complesso: inserirsi in questo flusso significa inevitabilmente abbracciare il suo linguaggio e il contenuto stesso delle challenge, oppure tentare (e qui si innesta di nuovo il ruolo di ByteDance) tentare di immaginare come fare a dettare il passo ideando la propria challenge. Usare linguaggi “vecchi” per parlare a un pubblico nuovo non può essere efficace.
L’altro aspetto di cui tenere conto è relativo al tipo di pubblico raggiunto da TikTok: come detto, oggi è soprattutto legato a una fascia d’età molto giovane ed è inevitabile chiedersi come evolverà. Facebook ha subito un invecchiamento dell’età media di chi lo frequenta, l’acquisizione di Instagram e WhatsApp è servita proprio a colmare questa sorta di gap generazionale: succederà lo stesso a TikTok? O magari invece rimarrà legato alla fascia 16-25? Un’altra possibilità è che i più talentuosi creator scelgano di spostarsi altrove (YouTube, Twitch, Facebook e Instagram si litigano da anni alcuni grandi nomi), magari per allungare la durata delle clip o per creare progetti che spazino in formati differenti da quelli dello schermo dello smartphone. È indispensabile che ByteDance immagini un percorso che tenga in considerazione l’opinione dei creator stessi, così da assecondare le loro richieste e garantirsi la loro permanenza a bordo per garantire un futuro alla piattaforma. ByteDance sembra averlo compreso, per il momento: vedremo da qui a un anno dove l’avrà portata questo percorso.