Dopo nove anni, Davey Wreden e William Pugh ripropongono il loro meta-gioco. E non è un semplice remake
Talvolta, dalle mod che alcuni appassionati creano a tempo perso, come costola di giochi che li hanno impressionati, nascono dei capolavori veri e propri, capaci di dar persino a un genere a sé, senz’altro indipendente rispetto al videogioco principale, moddato. Non capita sempre, certo, ma capitò senz’altro nel 2013, quando Davey Wreden e William Pugh, appassionati di Half Life (e chi no?) decisero di impalcarvi un titolo lavorando apparentemente per sottrazione. Presero infatti l’acclamato sparatutto in prima persona di Valve e vi tolsero un po’ tutto: nemici, ambientazioni aperte, enigmi, sequenze vagamente platform… Il risultato fu un gioco capace di lasciare il segno in tantissimi videogiocatori, tanto che proprio pochi giorni fa un team tutto italiano ha esordito con tERRORbane (qui la nostra recensione e l’intervista ai ragazzi di BitNine Studio), che si mette in scia proprio alla creatura di Wreden e Pugh. Dopo quasi una decade, che nel frenetico mondo dei videogames è un’era, esce The Stanley Parable Ultra Deluxe, che però a sorpresa non è un remake dell’originale…
Ma allora cos’è The Stanley Parable Ultra Deluxe?
Prima di dire cos’è The Stanley Parable Ultra Deluxe dovremmo spiegare a chi non ha mai giocato all’originale di che si trattasse. E non è certo un’operazione semplice. Era un meta-videogioco, ovvero un videogame che parlava di videogame. E lo faceva con una feroce e pungente ironia di stampo british. Di fatto, più ci si avventurava per le assurde gag e trovate che costituivano, di fatto, la dorsale di questo curioso simulatore di camminata e più aumentavano i dubbi sulla libertà offerta dai videogiochi.
Perché il titolo verteva proprio su quello: smascherare un’attività vista come attiva (non si subisce cioè passivamente, come il cinema o la musica) per ricondurla a niente di più di un romanzo con qualche interazione da parte del giocatore, ma dove la mano del programmatore la faceva di fatto da padrona. Anzi, da schiavista. Di fatto il gioco insisteva su come in nessun videogame non ci fosse mai dato il potere di scegliere liberamente e sottolineava che ogni esperienza provata videogiocando fosse in realtà subita.
Spiegato, a grandi linee, il concept che animava l’originale, arriviamo all’oggi con The Stanley Parable Ultra Deluxe che, a dispetto del nome, non è un semplice remake, ma quasi una espansione. A inizio gioco vi verrà chiesto se avete giocato all’originale o meno e questo perché non sono pochi i cambiamenti rispetto all’avventura datata 2013. Nel caso ci abbiate giocato, la voce fuori campo – unica protagonista all’infuori di voi, ora guida ora antagonista -non mancherà di sottolineare, in modo caustico, le differenze.
The Stanley Parable Ultra Deluxe rimarca i nove anni trascorsi dal titolo che ha dato vita a tutto ciò nella sua maniera, stipando dietro una porta le idee inedite, i contenuti originali, le trovate che Davey Wreden e William Pugh dovettero scartare e persino i premi vinti e le recensioni entusiastiche dell’epoca. Un’autocelebrazione in grande stile, ma mai esagerata, sempre ironica e, soprattutto, sempre sospesa tra qualcosa che viene imposto all’utente e qualcosa che richiede un minimo di interazione. Certo, sono passati nove anni e, come si diceva, in ambito videoludico ciò equivale a un’era, ma in realtà può essere cambiata la grafica dei nostri videogiochi preferiti, non la struttura. Quindi le domande esistenziali poste da The Stanley Parable Ultra Deluxe e le critiche ai limiti del medium continuano a essere attuali.
Gli stessi sviluppatori, consci del tempo trascorso, hanno deciso di scompaginare le carte inserendo, a un certo punto, un vero e proprio ‘evento di rottura’, che ovviamente non vogliamo anticiparvi. Sappiate però che vi lascerà a bocca aperta, sia che abbiate giocato all’originale, sia che vi siate avvicinati a questo The Stanley Parable Ultra Deluxe senza nemmeno sapere di che si trattasse. Nemmeno noi lo abbiamo ancora ben capito. Sappiamo solo che, a modo suo, è un’opera destinata a fare la storia del mezzo che bonariamente deride. Una pietra miliare che tutti farebbero bene a recuperare e a giocare fino alla fine. Che non c’è.