Creata da Giacomo Giannella e Giuliana Geronimo, Streamcolors è una startup che trasforma e innova la comunicazione attraverso l’arte e il gaming. Ispirata da Kandinsky ha già conquistato lo stilista Kean Etro.
Creare videogiochi oggi significa anche riprodurre la realtà quanto più fedelmente possibile. Giacomo Giannella ha fatto il digital artist per dieci anni in Milestone, una delle più importanti società di videogiochi italiani. E a un certo punto ha sentito il bisogno di andare controcorrente. Invece di riprodurre la realtà, ha scelto di partire da questa per creare qualcosa di diverso: installazioni artistiche colorate, interattive, gamificate che restituissero all’utente qualcosa di nuovo, innovando persino la conoscenza.
Con l’aiuto di sua moglie Giuliana Geronimo, esperta di comunicazione, ha creato Streamcolors, startup nata grazie a molte idee e all’applicazione di un software proprietario (che altro non è se non un motore per videogiochi) che ha stregato persino lo stilista Kean Etro.
Tutta colpa di un hobby
«Tutto è iniziato per hobby», spiega Giuliana. «Poi nel 2012 abbiamo partecipato a tre concorsi e in uno di questi abbiamo conosciuto Kean Etro che ci ha chiesto di realizzare le scenografie per la sua sfilata 2013. Lavorare per una sfilata internazionale, con i suoi tempi precisi e i suoi professionisti ci ha aiutato a strutturare il nostro metodo». Così, nel 2014, Giacomo si licenzia da Milestone e nasce Streamcolors s.r.l..
Questa startup, recentemente finanziata grazie alla vittoria del bando Innovazione Culturale di Fondazione Cariplo con 150 mila euro, crea comunicazione per le aziende, sfruttando le immagini reali per produrre qualcosa di diverso, emotivamente e visivamente innovativo.
L’ispirazione? «Kandinsky è il nostro maestro», dice Giacomo.
Inoltre Giacomo e Giuliana vedono nel loro lavoro anche un’applicazione che porterebbe l’installazione artistica, il gioco e il colore, sugli oggetti di design: «Partendo da immagini reali, vorremmo realizzare delle personalizzazioni grafiche che, stampate in alta definizione, possono essere sovrapposte a prodotti di design». E la concretezza applicata alla fantasia ha stregato anche i canadesi del Toronto Digifest.
Un contenitore che diventa mezzo, gioco e messaggio
In questa manifestazione Giacomo e Giuliana hanno presentato Medium, un’installazione basata sul concetto di design thinking di Marshall McLuhan. Proprio grazie al direttore dell’istituto nato dal padre della teoria “il medium è il messaggio”, la loro installazione ha acceso i riflettori sulla loro attività, attirando investitori e incubatori. «In Canada è stato facile spiegare ciò che facciamo», dice Giuliana. «Il nostro lavoro è stato giudicato dalla stessa commissione del Toronto Digifest come un modo per creare sinergia tra arte e gaming, e potenziare l’esperienza artistica e personale».
Medium si basa su un mazzo di carte che la coppia di imprenditori ha creato per i propri figli: «Con questo mazzo abbiamo insegnato ai bambini persino la matematica, senza usare i numeri», spiega Giacomo. «Il Digifest ci ha consigliato di consultare Paolo Granata, responsabile del Marshall McLuhan Institute. Con lui abbiamo indagato la possibilità di scoprire significati nuovi grazie all’ambiente creato con le nostre carte, da cui è nata anche l’idea di creare anche una parte analogica di Medium». Sfruttando il meccanismo del gioco Memory, l’utente può associare le coppie a uno dei dodici archetipi della personalità di Jung. Il progetto verrà potenziato con la scrittura di un libro di gioco in cui le persone potranno anche narrare le proprie esperienze e sensazioni.
Perché in fondo – che siano immagini o racconti – è di storie che stiamo parlando.
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«Durante un’installazione abbiamo chiesto alle persone di taggarci nelle foto per trasformare quelle immagini con il nostro software», che è un po’ un modo di raccontare le storie dei singoli. Il libro realizzato per Medium servirà ad associare la propria storia al gioco. «Le storie hanno un potere più grande di quello che immaginiamo. Ma oggi siamo chiamati ad essere protagonisti responsabili delle nostre storie. Credo che ci sia un potenziale narrativo che oggi si perde online, nei videogiochi che seguono un mercato dettato dal marketing… Manca uno strumento di storytelling personale, funzionale e funzionante. Basti vedere Facebook, che sta perdendo la parte di racconto personale degli utenti», riflette Giacomo.
Il futuro di Streamcolors
«Continueremo le nostre collaborazioni artistiche per sviluppare la parte più creativa del nostro lavoro», rivelano i fondatori di Streamcolors. «A livello b2b, amplieremo l’attività di consulenza e formazione dedicate al mondo dei videogiochi. Inoltre commercializzeremo il nostro software, vendendolo a quei designer o agenzie che vorranno usarlo per innovare il proprio modo di fare comunicazione».
Succederà anche in Italia dove, quando presentano il proprio progetto, Giacomo e Giuliana si ritrovano davanti facce perplesse. «In Italia impera l’idea del “wow” a tutti i costi, che non significa niente». Continuare la ricerca – artistica e professionale – per Giacomo e Giuliana significa sì stupire, ma in modo nuovo e divertente perché, come dice Bruno Munari, bisogna giocare seriamente.
Stefania Leo