Una startup belga e il suo spaventapasseri scimmiottano il re delle scimmie. Come finirà?
Recensisco videogiochi da almeno 15 anni, ma ammetto che con Stitchy in Tooki Trouble mi sono trovato per la prima volta in difficoltà a esprimere un giudizio definitivo e univoco. Perché è un prodotto che costa pochissimo – meno di 13 euro e al lancio sarà offerto a 9 e qualcosa -, che ha un impianto grafico davvero notevole, per essere un titolo budget, realizzato da una software house giovanissima con pochi soldi e ancora meno personale (in Polygoat sono in quattro: Frederik Smolders, Robin Gielis, Ahmed Arsemikov e Donald Degraen) e che dura anche discretamente… Eppure, ricalca a tal punto un altro titolo, Donkey Kong Country Returns dei texani di Retro Studios, da mettermi quasi in imbarazzo.
Intendiamoci, se bisogna prendere spunto da qualcuno, lo si deve fare dai migliori. E i ragazzi di Retro Studios sono vere e proprie divinità nel loro campo. Non a caso Nintendo ha affidato loro la serie Metroid Prime, poi gli ha proposto di rispolverare Donkey Kong Country (due IP che altrimenti rischiavano di scivolare nel dimenticatoio). Ma Stitchy in Tooki Trouble esagera col citazionismo: non si limita a lasciarsi ispirare dal titolo originale, ma lo ricalca pure. Pare una fotocopia, ma fatta con un toner in esaurimento, perché del resto non è sorretto né dall’esperienza né dai fondi a disposizione della software house texana.
Se voleva essere una lusinga, è fin troppo smielata, se non voleva esserlo, si è dalle parti della copia a tutti gli effetti, un po’ troppo spudorata, con ciò che ne deriva. Ed è davvero un gran peccato perché, come si diceva, Stitchy in Tooki Trouble ha pure i suoi punti di forza: in primis una grafica a dir poco notevole se raffrontata coi titoli proposti al medesimo prezzo, in secundis una certa solidità di gameplay. Invece non si capisce perché uno spaventapasseri cui vengono sottratte le pannocchie, anziché aggirarsi per ambientazioni rurali, come le fattorie o i campi coltivati, saltelli allegramenti per giungle, barili e antiche rovine, teatro naturale del pulciosissimo Donkey Kong; invece di combattere mucche e polli, debba vedersela con cloni della Tiki Tak Tribe vista nei giochi Retro (peraltro non erano nemmeno nemici così ispirati: molto meglio i Kremlings dei Rare).
Ispirarsi a Retro Studios è pericoloso, perché immancabilmente si finisce col tracciare parallelismi tra i due titoli. Donkey Kong Country Returns era un gioco molto difficile e molto frenetico, dal level design sopraffino. Stitchy in Tooki Trouble è l’opposto: facile e, soprattutto terribilmente lento, almeno per la prima metà, complice anche la scarsisissima agilità del protagonista.
Ok, è uno spaventapasseri, non una scimmia, ma Stitchy è troppo legnoso e non può nemmeno correre. Vedendo i livelli innevati, che abbondano di piattaforme inclinate in cui si scivola meravigliosamente bene, viene il sospetto che a un certo punto della programmazione se ne siano accorti pure gli sviluppatori e abbiano deciso di velocizzare un po’ i livelli. Caratteristica principe di DKCR era la possibilità di controllare due personaggi: Donkey e Diddy. Quest’ultimo non era autonomo ma, quando veniva recuperato, serviva a subire qualche danno ulteriore e permetteva al primate principale di planare per qualche istante. In Stitchy in Tooki Trouble non c’è niente di simile, ma Stitchy ha a disposizione un doppio salto che gli permette di correggere il tiro quando la traiettoria non è quella sperata.
Da buon emulo di Donkey Kong, anche in Stitchy in Tooki Trouble troviamo i livelli a bordo dei carrelli da miniera e oggetti da raccogliere lungo ciascuno stage: al posto delle banane qui abbiamo le pannocchie, che regalano una vita extra ogni 100 mietute, mentre al posto delle lettere K-O-N-G nel prodotto belga ci sono tre pezzi di un totem. La raccolta degli oggetti però mette in luce ulteriormente la differenza di level design tra i due titoli: nel gioco primatesco sono nascosti con perfidia, in questo è impossibile mancarli, la difficoltà al più sta nell’arrivarci (in genere sono posti su piattaforme molto elevate). Allo stesso modo, mentre le corse sui carrelli da miniera di DK sono adrenalinici, quasi filmici, in Stitchy in Tooki Trouble sono una riproposizione piuttosto blanda e stanca.
Si salta molto, in Stitchy in Tooki Trouble, ma la qualità dei livelli non convince, finendo per essere una progressione priva di palpiti di piattaforme con qualche nemico in mezzo, senza mai uno slancio creativo o un guizzo che riesca a sorprendere. Sono allora più riusciti i boss, impegnativi e ben caratterizzati (molto bello soprattutto il penultimo), pur proponendo sfide già viste altrove.
Insomma, se si guarda a Stitchy in Tooki Trouble come copia in cartacarbone di Donkey Kong Country Returns, è difficile apprezzarlo, perché è troppo uguale all’originale per limitarsi a essere un micro-gioco in suo onore e se comparato con DKCR ne esce sconfitto sotto ogni versante: gioco lento, livelli piatti, comparto artistico tratto di peso dal capolavoro di Retro Studios (stessi nemici, stessi fondali, persino stesso modo di disegnare le palme). Invece, se si riporta tutto nella giusta ottica e se si intende Stitchy in Tooki Trouble come il titolo di una startup di quattro persone che ha sfornato un videogioco che non costa neppure 13 euro, tutto cambia.
Perché Stitchy in Tooki Trouble ha dalla sua un bel comparto grafico, discrete animazioni e fondali incredibilmente dettagliati (e animati). In più di un’occasione regala scorci e situazioni da titolo tripla A e ci si dimentica di avere per le mani l’opera di un team giovanissimo. Per di più, dura a sufficienza: tre mondi, con dieci livelli ciascuno e altrettante boss battle. Quando si arriva ai titoli di coda si avrebbe voglia di continuare.
E proprio per questo ci auguriamo di rivedere Stitchy in un sequel. Ma con un’ambientazione tutta sua e con nemici e situazioni di gioco originali: se lo merita Stitchy, personaggio che può aspirare a divenire qualcuno nel parterre videoludico delle star emergenti e non semplicemente “quello che ha copiato DK”, ma soprattutto mi sono convinto che la software house dietro al progetto sarebbe all’altezza di creare qualcosa di innovativo e meno pigro, dato che ha già dimostrato di saper creare progetti solidi e artisticamente belli da vedere. Speriamo trovino la loro strada e si concentrino maggiormente sulla qualità del level design: presto DK potrebbe avere un serio avversario capace di impensierirlo davvero. Uno spaventapasseri spaventascimmie?