Un punto di vista diverso del Circus, raccontato dal suo interno. Un progetto riuscito, anche se mancano all’appello Ferrari e Mercedes
La stagione 2019 della Formula 1 partirà il 17 marzo in Australia, con il primo di 21 gran premi, e vedrà l’atto conclusivo a dicembre ad Abu Dhabi. Il prossimo campionato vedrà molte novità alla linea di partenza: nuovi motori, nuove regole, nuovi piloti (o grandi ritorni). Proprio alla vigilia della partenza, Netflix sforna una interessante docuserie sul Circus: Drive to Survive racconta la stagione 2018 vista dall’interno, da dietro le quinte. Se siete fan della F1, o se vi incuriosisce scoprire qualcosa di più su questo mondo, non potete perdervela.
Cos’è Drive to Survive
Un racconto fatto da chi è dietro al volante, dentro i garage, seduto al muretto: Drive to Survive gode dell’appoggio di moltissime scuderie della F1, oltre che della stessa Formula 1 che ha dato ampio accesso al paddock alle troupe di Netflix. Sono gli stessi protagonisti a spiegare, a giochi ormai fatti, cosa è successo nel corso della stagione 2018: così si scoprono tantissimi particolari inediti su cosa significhi guidare una monoposto, gestire un team con budget milionario, cercare di portare a casa punti, pole position e vittorie.
L’aspetto peculiare di Drive to Survive è senza dubbio la presenza, predominante, del racconto dei piloti per bocca degli stessi piloti: Daniel Ricciardo racconta com’è andato il suo passaggio dalla Red Bull alla Renault, dal suo punto di vista. Esteban Ocon racconta lo sforzo per cercare di assicurarsi un sedile nel 2019, senza successo. E poi l’epopea di Charles Leclerc, che quest’anno guiderà una Ferrari.
Ciascuno di loro, non manca quasi nessuno all’appello, racconta il suo punto di vista sul Circus: le rivalità, l’impegno per tenersi in forma e dare sempre al massimo, la frustrazione di vedersi negata una vittoria o un piazzamento a causa di un problema tecnico o di un incidente causato da qualcun altro. Poi ci sono i team principal, i capi delle scuderie, che raccontano l’altra metà della storia: come si motivano i piloti, come li si valuta, come ci si barcamena tra gli investimenti e gli investitori e la necessità di essere competitivi per restare nel giro.
Com’è Drive to Survive
Non è la prima volta che qualcuno prova a raccontare la F1 dal di dentro: Amazon ha tentato un paio d’anni fa con la McLaren, quando la scuderia inglese prometteva un rilancio, ma il risultato è stato deludente per via di un racconto monco e prestazioni della scuderia al ribasso. Decisamente meglio riuscita la docuserie Amazon su Le Mans: ma lì si parla di ruote coperte e di endurance, tutto un altro sport.
Questo Drive to Survive è il miglior tentativo fino a questo momento di raccontare la F1: è perfettibile, soprattutto perché nel racconto che si dipana in 10 episodi mancano i due pesi massimi del Circus ovvero Ferrari e Mercedes. Ma su questo punto, dicono, si sta lavorando: è in già in programma una seconda stagione per la docuserie, e vista la riuscita della prima potrebbe essere più semplice convincere le due grandi scuderie a partecipare.
Il vero segreto di Drive to Survive è però un altro: non cerca di ammantare la Formula 1 di un allure di fascino che ormai suonerebbe decisamente fuori moda, bensì prova a raccontare la storia di 20 piloti e altrettante vetture che girano a oltre 300 chilometri l’ora sulle piste di tutto il mondo per quel che è realmente. Storie di uomini e donne che si impegnano per ottenere il massimo, ma che si scontrano con una dura realtà: speranze deluse, imprevisti, guerre sotterranee che prima o poi finiscono sotto le luci della ribalta.
Il segreto di Netflix
Soprattutto, Drive to Survive non cerca di far sembrare tutti belli e affascinanti. Il racconto si mantiene equilibrato, distaccato: il risultato è che alcuni personaggi emergono come interessanti e simpatici, altri risultano algidi o semplicemente non puoi fare a meno di detestarli. Un racconto realistico del reale, che è poi la ricetta che ha reso un successo anche le serie di pura fiction di Netflix: che ha messo in pista delle produzioni moderne, dando ampio spazio creativo agli artisti ingaggiati per portarle a termine.
Oltre alla polverina magica di Netflix, che difficilmente sbaglia un colpo, l’altro segreto di Drive to Survive è senza dubbio la nuova proprietà americana della F1, ora gestita da Liberty Media. Quest’ultima sta ridefinendo in modo significativo l’immagine stereotipata del massimo campionato iridato, rimasta per troppi anni legata a un immaginario degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso: proprio per questo la docuserie risulta tutta godibile, e ci sono pure divertenti siparietti inediti che faranno felice i fan più sfegatati del Circus.