Lo scrittore cileno è morto a Oviedo, in Spagna, a causa del Covid-19. È stato un narratore molto amato, ma anche un rivoluzionario sempre in cerca di una causa
Luis Sepúlveda è stato uno scrittore ed è stato un combattente. Dopo la sua morte, causata dal Covid-19 a Oviedo in Spagna, è stato naturale pensare al lato più rassicurante, l’autore sudamericano di Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, che è stato il Piccolo Principe di un paio di generazioni, il libro sul quale imparare l’atto di leggere. La gabbianella fu un caso editoriale enorme, soprattutto in Italia, dove ha venduto un terzo delle cinque milioni di copie vendute nel mondo (è pubblicato da Guanda, come tutti i suoi libri), e ha plasmato l’immagine che abbiamo oggi dello scrittore cileno. La vita di Sepúlveda è stata però innanzitutto politica, un’esistenza di battaglie, combattute sempre in prima persona, col corpo e non solo con le idee. «Yo siempre escribía, pero cuando fue necesario coger el arma la cogí», aveva raccontato a La Vanguardia. «Ho sempre scritto, ma quando è stato necessario prendere le armi, le ho prese».
L’ortodossia
Prima ancora di Pinochet, Sepúlveda conobbe le durezze dell’ortodossia comunista. Era uno studente cileno idealista e nipote di un anarchico quando arrivò a Mosca con una borsa di studio letteraria. Non andò benissimo. Era la fine degli anni ’60, l’URSS di Brežnev: il giovane Luis durò poco, fu rispedito a casa per aver attentato alla morale proletaria. Tgcom ha rilanciato una sua partecipazione al Maurizio Costanzo Show del 2000, nella quale Sepúlveda discute con Gorbachev (presente in studio) delle contraddizioni della Russia contemporanea, mostrando di aver conservato una certa visione idealista dell’Unione Sovietica (quella della battaglia di Stalingrado più che quella dell’Università statale di Mosca che aveva conosciuto da studente).
Il regime di Pinochet
Negli anni di Allende, Sepúlveda era socialista e faceva parte del Gap, il Grupo Amigos Personales del presidente Allende. Dopo il colpo di Stato di Pinochet del settembre 1973, fece parte di quei cittadini che «la dittatura cilena sparse ai quattro venti», come ha raccontato Erri De Luca a Huffington Post. Prima dell’esilio, Sepúlveda fu incarcerato due volte, la seconda con condanna all’ergastolo, e deve la sua vita libera soprattutto alle pressioni di Amnesty International. «Sepúlveda e la sua compagna hanno portato nella loro vita in giro per il mondo le ferite di quel tempo di tirannia, omicidi, torture, fughe», ha scritto De Luca. «Non diventarono cicatrici, rimasero ferite senza punti di sutura». La cittadinanza cilena gli fu restituita solo trentuno anni dopo.
Il bolivarismo
Nel 1977 Sepúlveda aveva meno di trent’anni e aveva già perso una rivoluzione, però era un uomo libero, diretto in Svezia, grazie ad Amnesty International. Doveva solo fare scalo a Buenos Aires, ma non prese quel volo per l’Europa, decise di rimanere in Sud America, vagare, scrivere e se serviva combattere. L’esperienza più importante fu nel 1979, quando si unì alla Brigata Internazionale Simón Bolívar per combattere al fianco dei sandinisti in Nicaragua. La rivoluzione, come spesso fanno le rivoluzioni, lo deluse, e alla fine arrivò in Europa.
Greenpeace
Negli anni ’80 come molti rivoluzionari scoprì l’ambientalismo e si unì a Greenpeace, che all’inizio di quel decennio era giovane, ribelle e aggressiva. Sepúlveda partecipò regolarmente alle azioni dell’organizzazione ambientalista, nel 1982 fece un blocco di due mesi nel porto di Yokohama, per bloccare l’uscita delle baleniere giapponesi. «Era freddo, faticoso, e non si mangiava bene a bordo», avrebbe poi raccontato al Corriere della Sera. Ma ne valse la pena: due anni dopo arrivò la moratoria internazionale contro la caccia alle balene.
La felicità
È una parola contenuta nel titolo di un libro in apparenza minore, rispetto alla sua produzione letteraria: Un’idea di felicità, scritto insieme al fondatore di Slow Food Carlo Petrini. «È ancora una possibilità?», si chiedevano gli autori. La risposta era ovviamente sì, certo che si può essere felici, e il segreto è nel ritmo delle cose più che nel loro contenuto. Andiamo troppo veloce e dobbiamo fare come la lumaca della copertina: rallentare. «Fermati, come il cavallo che percepisce l’abisso», scrivevano. Era un verso preso in prestito da Mayakovsky, valeva per tutti.