Negli anni ’80 gli shoot ‘em up a base di alieni e navicelle spaziali erano i protagonisti delle sale giochi. A StartupItalia Mario Malagrino, “solo game developer” che ha deciso di resuscitare un genere (mai) dimenticato: “Ho fatto tutto io: musica, suono, arte, storia, level design, la programmazione… Lavorare con una squadra significherebbe avere troppe restrizioni. I videogiochi sono arte: devo essere libero di esprimermi”
Si stenta davvero a credere che dietro a un titolo come Remote Life, disponibile su PC, via Steam, dall’ottobre del 2019, ma approdato su tutte le console, dal Nintendo Switch a PlayStation 5, passando per Xbox One e Series X|S, soltanto lo scorso 27 maggio, ci sia una sola persona. Per di più al suo primo videogioco. Perché il gameplay è a dir poco perfetto, il gioco presenta una buona commistione tra elementi innovativi e d’antan e artisticamente è encomiabile, recuperando lo stile dei cabinati più apprezzati di trenta e anche quarant’anni fa. Possibile che un’unica figura possa possedere tanti talenti? Sappia cioè disegnare livelli convincenti e nemici spaventosi? A quanto pare, sì. E il solo game developer in questione è, tra l’altro, italiano, Mario Malagrino, e non sembra avere affatto intenzione di fondare un suo team, come ha ammesso ai microfoni di StartupItalia: “Sì, ho fatto tutto io: musica, suono, arte, storia, level design, la programmazione. Mi è piaciuto il processo. Lavorare con una squadra significherebbe invece avere solo delle restrizioni. Intendo i videogiochi come un’opera d’arte: voglio essere libero al 100% quando faccio le mie scelte per esprimermi. Quindi sarò sicuramente ancora uno sviluppatore di giochi senza un team dietro almeno per il prossimo gioco: per fortuna so fare un po’ tutto. Ma chi non se la sente dovrebbe collaborare. Anche perché se no i tempi necessari a finire un gioco sono molto lunghi”.
Sparocchiando a qualunque cosa si muova in Remote Life
Se, come noi, anche voi siete venuti grandi con le musicassette del Commodore (o coi supporti di Amiga) in cui erano stoccate pietre miliari dei videogiochi come Menace, Turrican, X-Out, R-Type e Project-X, con Remote Life vi troverete subito a casa: è infatti uno shoot ‘em up all’apparenza molto tradizionale che recupera atmosfere e divertimenti di un tempo che fu. All’apparenza, appunto, perché Malagrino qua e là ha voluto innovare la formula, così da renderla fruibile anche ai giocatori del 2022 o semplicemente a chi non cerca solo una copia in carta e carbone di grandi classici del passato: “Adoro i giochi come Half Life, quindi ho cercato di adottare un po’ le meccaniche di un FPS. Questo mi ha permesso di creare un sistema d’arma unico che ricorda un po’ i giochi FPS. Molti giocatori lo adoravano”.
Le armi, in Remote Life, sono tantissime, suddivise in quattro categorie: A, B, C e D, con queste ultime che meritano un discorso a sé, visto che sono le più potenti e andranno centellinate. In generale, comunque, ciascun’arma occupa uno slot, switchabile grazie al dorsale e se raccogliete un’arma di tipo C avendone già una già installata sulla vostra navicella, la sostituirete, il che costringe a pensare rapidamente ciò di cui si ha davvero bisogno, nell’infuriare della battaglia, prima di raccogliere ogni oggetti che capita a tiro.
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In più, Remote Life è uno sparatutto twinstick, che significa che uno stick funge da cloche per i controlli della navicella mentre con l’altro potrete indirizzare lo sparo a 360 gradi. Proseguendo con il gioco, inoltre, avrete modo di sbloccare altre navette. Altro elemento di rottura, rispetto al passato, riguarda le missioni di supporto ad altre navi alleate che andranno prima scovate all’interno di livelli labirintici e poi scortate. Proprio così: rispetto ai classici, qui lo scrolling non sarà solo orizzontale, grazie a piacevoli digressioni sul tema.
Come e quando è nato Remote Life
C’è davvero tanto amore tra le righe di codice di Remote Life, videogioco che Mario Malagrino aveva in cantiere fin dai tredici anni: “Nei anni 80/90 quando l’Amiga 500 era molto popolare, mi misi un po’ a disegnare con Deluxe Paint 2. È stato in quel momento che ho capito che gli sprite dei giochi erano fatti con quel software”, ci ha infatti raccontato.
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“Questo – ha aggiunto – è stato il primo momento in cui è nata nella mia mente l’idea di creare un gioco, ma per un ragazzino di 13 anni era troppo. Quindi ho mantenuto quell’idea nel profondo del mio cuore, sperando che un giorno potesse essere possibile fare qualcosa che assomigliasse al gioco dei miei sogni, cioè di genere shoot ‘em up. Il primo che giocai a casa mia era sul Atari 2600: il mitico Vanguard. Dopo tanti decenni mi sono detto: facciamolo ora, mi sento pronto… Mi studiai le possibilità e presi il game engine che mi sembrava più idoneo per me. Così è iniziato tutto”.
Remote Life ha richiesto al solo game developer italiano tre anni di sviluppo, che ricorda con affetto: “È stato un periodo incredibile, lungo e avventuroso. Ho imparato così tanto e ho fatto così tanti fantastici nemici per il gioco. Penso che siano circa 100. Un numero molto grande”.
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Non sono mancati dubbi e timori: “La mia paura più grande era di rendere il gioco troppo piccolo. Quindi ho creato 16 incredibili missioni. Di solito negli shoot ‘em up puoi trovare circa 8 livelli con poche eccezioni. Inoltre volevo creare molti boss e midbosses, in modo da avere davvero la sensazione di essere sfidati non solo alla fine di un livello, ma anche tra le missioni”. Il risultato è senz’altro eccezionale: Remote Life è semplicemente un capolavoro. E il nostro Mario Malagrino, per fortuna, è già al lavoro (tutto solo) su altri due videogame: “Sto sviluppando Remote Life 2 e anche CRUDE, un bellissimo platfomer Fantasy con una grafica pazzesca”. Il suo entusiasmo ci ha già convinti: non vediamo l’ora di provarli entrambi.