Da una startup innovativa canadese un videogame che ci permette di provare sulla nostra pelle i cimenti compiuti dai migranti per trovare la libertà. Nella colonna sonora del titolo, anche la nostra Bella Ciao
Non è la famosa Route 66, che taglia da Est a Ovest lo sterminato continente americano e rappresenta un itinerario piuttosto inflazionato per molti turisti abbienti: la Road 96 che dà il titolo al videogame oggetto di questa recensione attraversa il Paese da Nord a Sud ed è la strada della speranza, più che dell’opulenza. Perché all’estremo Nord c’è un muro di confine: altissimo, sorvegliatissimo, pericolosissimo e, per qualche strano motivo, molti ragazzi sono disposti a correre rischi immani, anche di restare uccisi, pur di tentare di attraversarlo per andare dall’altra parte. Cosa c’è dall’altra parte nessuno lo sa. Solo la speranza di un domani migliore. E quando si è poveri, inseguiti, affamati e oppressi, tanto basta.
L’enorme Paese in cui è ambientato questo videogame sviluppato in Canada odora fortemente di USA, ma non sono gli USA. Ci troviamo a Petria, un’immensa nazione che sta velocemente scivolando dalla democrazia alla dittatura senza nemmeno accorgersene. Il suo presidente ricorda fortemente Trump, ma non è The Donald, bensì Tyrak, alter ego se possibile ancora più grottesco. Allo stesso modo, i giovani che impersoneremo, accomunati dal desiderio di attraversare il muro anche a costo della vita, ricordano i Dreamers, ragazzini per lo più messicani entrati illegalmente sul suolo americano che proprio il penultimo inquilino della Casa Bianca aveva provato a rispedire al di là del confine meridionale abolendo il programma di aiuti Deferred Action for Childhood Arrivals (Daca), creato nel 2012 da Barack Obama, trovando però la contrarietà della Corte Suprema.
Tutto questo per farvi capire quanto il gioco oggetto dell’odierna recensione, Road 96, sia sul pezzo, intriso di ideali politici, messaggi potenti e convincimenti che probabilmente vanno al di là del quotidiano chiacchiericcio da talk show televisivo. Eppure è ambientato nel 1996 e più o meno saranno sempre 1996 i chilometri che separeranno ogni ragazzino che impersoneremo dalla frontiera (alcuni partiranno da più lontano, ma con più soldi ed energie, altri saranno più vicini alla meta, ma li troveremo in condizioni peggiori).
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Tre, invece, gli eventi che rendono il periodo particolarmente effervescente e pericoloso: le imminenti elezioni, anche se l’attuale, temutissimo, presidente non sembra conoscere rivali, visto che ha in mano la stampa e veicola ad arte fake news di ogni tipo; il decimo anniversario di un attentato al muro di confine e l’imperversare delle Brigate Nere, un gruppo terroristico che non ama l’attuale regime politico e tenta azioni di disturbo in cui però a perire sono spesso poveri innocenti.
DigixArt, talentuosa startup guidata dal 2015 da Anne-Laure e Yoan Fanise, già nota per aver dato vita a Valiant Hearts e 11-11 Memories Retold, sembrava intenzionata a comporre l’ennesimo, stucchevole, inno alla libertà (piuttosto frequente nel panorama Indie), mettendoci nei classici panni di adolescenti squattrinati che, con poco sale nella zucca e molti, forse troppi, sogni in testa lasciano casa per esplorare il Paese, correndo rischi di ogni tipo facendo autostop, dormendo sotto le stelle e rubacchiando qua e là.
Ecco, scordatevi tutta questa poesia un po’ infantile. Nessuno dei ragazzini che impersoneremo si è messo in viaggio per capriccio. Starà a noi, con le nostre azioni, forgiare il loro carattere e il movente, che potrà essere politico, di rivolta o dato dall’esasperazione per l’attuale condizione di vita, ma la libertà che cercano tutti è vera, autentica, dalle forti tonalità drammatiche. Per questo inorgoglisce che, nella stupenda colonna sonora del gioco (ogni viaggio, del resto, ha la sua) trovi posto anche la nostra Bella Ciao. Ma parlavamo di ‘tonalità drammatiche’: lo stile cartoon di Road 96 non deve trarvi in inganno, in questa recensione insisteremo infatti sulla costante sensazione di precarietà che si avverte dall’inizio alla fine dell’avventura, mentre i chilometri che ci separano dal muro lentamente e faticosamente diminuiscono.
In ogni momento si ha di fatti l’impressione che la situazione possa precipitare. Anche nei rari frangenti in cui sembra andare tutto bene, magari perché abbiamo rubato con facilità un’auto e ci siamo finalmente allontanati dai matti che affollano motel, baraccopoli e stazioni di servizio o perché abbiamo rinvenuto casualmente un bancomat e siamo riusciti a mettere le mani su cinquanta dollari (una enormità, visto che saremo sempre a secco) così da assicurarci un raro pasto nutriente (la barra della fatica continuerà a svuotarsi), il gioco sembra bisbigliare nelle nostre orecchie paroline di scherno, facendoci improvvisamente sbattere il muso su qualche personaggio assurdo.
Non sono tantissimi i personaggi che calcano le scene di Road 96, ma l’aspetto più bello è che non si ripeteranno per due volte nello stesso modo. In alcuni “viaggi della speranza” lo stesso figuro sarà alleato o avversario, buono o cattivo, vi darà una mano o vi deruberà, a seconda del vostro atteggiamento, ma pure di dove lo incontrerete, della situazione contingente e di come risponderete alle domande che vi verranno poste. Non solo, dunque, non vivrete due viaggi identici, ma si può dire pure che incontrerete persone sempre differenti, o meglio, imparerete a conoscere come la stessa persona possa rivelarsi affidabile o insidiosa.
Ed è probabilmente questo l’aspetto che più ci ha colpito di Road 96 e che vorremmo fare emergere nella nostra recensione: abituati come siamo a personaggi spesso stereotipati, quasi sempre bidimensionali, è davvero inusuale avere a che fare con tratti sfumati, caratteri indefiniti, condotte difficilmente deprecabili, se terrete conto della situazione. Questo non vuol dire che ciascun personaggio non abbia tratti distintivi molto forti: ci sono infatti cattivi taciturni degni dei film dei fratelli Coen, pazzi scatenati che potrebbero furoreggiare in una pellicola di Tarantino e pericolose situazioni socialmente esplosive da Bong Joon-ho (tre registi cui gli autori hanno ammesso di essersi ispirati).
La consapevolezza di non poterci mai fidare completamente di chi avremo di fronte renderà ancora più difficili le nostre scelte, facendoci ricadere sulle nostre spalle, già provate dal lungo viaggio e dai chilometri percorsi, ogni nostra decisione: accettare o meno un passaggio? Concederlo o lasciare il tizio a piedi? Aiutare o no questa ragazza così carina che sembra sapere il fatto suo? Ci potremo addormentare in compagnia di questo bimbetto quattrocchi che non sta zitto un attimo o proverà a derubarci di tutti i soldi che abbiamo faticosamente raccolto (allo stesso modo)?