Ne esistono da 15 tonnellate, ma anche da pochi grammi. E nelle mani sbagliate possono diventare molto pericolosi
Gatwick, 20 dicembre: il traffico dell’aeroporto londinese viene fermato all’improvviso. Sotto Natale. Più di mille voli vengono cancellati o spostati, scene di panico tra i viaggiatori diretti a casa o in vacanza, tra cui molti italiani. Pochi giorni più tardi tocca a Heathrow. La causa, si dice in entrambi i casi, sarebbe stata un drone, avvistato nei paraggi della pista.
Dalle riprese alla manutenzione di grandi infrastrutture passando per gli impieghi millitari, le consegne a domicilio e il trasporto di persone, un drone può essere impiegato per gli scopi più disparati. Ma sono noti casi di violazioni della privacy – l’ultimo è un apparecchio avvistato sopra il carcere dove è detenuto l’attore Bill Cosby – , quelli di droni impiegati per portare droga nelle prigioni e addirittura per uccidere e diffondere sostanza chimiche.
Cerchiamo di capire qualcosa in più.
Un aereo che vola senza pilota
La differenza fondamentale tra un velivolo comune e un drone è, essenzialmente, che quest’ultimo può essere comandato a distanza e quindi vola senza pilota a bordo. Esistono droni da 15 tonnellate – la NASA ne impiega uno per scopi scientifici – e apparecchi che pesano poche decine di grammi, capaci di stare nel palmo di una mano. Ma quali sono i nodi da sciogliere? Le questioni fondamentali poste dai droni sono il controllo del traffico aereo, la sicurezza, la privacy. Cominciamo dall’inizio.
Il volo è un ambito strettamente regolato. I velivoli civili e commerciali sono costantemente seguiti dalla torre di controllo, che ne conosce altezza, pilota, percorso previsto e una moltitudine di altri parametri. Convenzioni internazionali garantiscono la sicurezza dei passeggeri e di chi sta a terra. I vuoti legislativi sono, ormai, pressoché inesistenti: un secolo e oltre di storia dell’aviazione ha fornito elementi e casistiche in abbondanza.
Le nuove norme per i droni: verso un quadro europeo
Per i droni non è così. Manca un quadro comune di riferimento internazionale. Non c’è nemmeno nell’Unione Europea: fino a oggi spetta ai singoli stati membri farsi carico di emanare la normativa per tutti gli apparecchi al di sotto dei 150 chilogrammi di peso. Uno scenario che potrebbe cambiare nelle prossime settimane, quando è prevista l’adozione da parte della Commissione Europea di un regolamento comune proposto dall’EASA, l’Agenzia Europea che si occupa di sicurezza dei voli.
Tra le novità, una classificazione dei droni in cinque classi, ognuna sottoposta a proprie limitazioni. Sarà, inoltre, necessario registrare il proprio drone e superare un test online per utilizzarlo; potrebbe, inoltre, esserci l’obbligo di installare un trasponder per localizzarlo in ogni momento. L’obiettivo è creare un sistema (chiamato “U-Space“) simile a quello delle torri di controllo che fornirà ai piloti tutte le informazioni sul traffico aereo e garantirà la sicurezza dei voli.
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Ci sono altre prescrizioni. I velivoli dovranno mantenersi lontani da centri urbani, gruppi di persone e obiettivi sensibili (aeroporti, oleodotti, prigioni, centrali nucleari), restare nel campo visivo del pilota, non volare a più di 120 metri di altezza e non trasportare oggetti pericolosi.
Si “salverebbero” i droni al di sotto dei 250 grammi di peso, per cui la normativa dovrebbe – ma il condizionale è d’obbligo – restare leggera: niente registrazione, niente corso online, e possibilità di utilizzare il dispositivo anche in città.
Insomma, è finita l’epoca dei pionieri e se ne apre un’altra, che lascerà spazio anche a un ampliamento degli usi commerciali. L’intervento del legislatore – notava l’Economist qualche giorno fa- avrà l’arduo compito di garantire i benefici di questa tecnologia senza caricare il settore di regole che potrebbero scoraggiarne lo sviluppo.
Le contromisure per fermare un drone
L’FBI ha avvertito che i prossimi attacchi terroristici potrebbero avvenire tramite drone: ma fermarne uno senza creare guai non è per niente facile. “Ci sono diversi sistemi per bloccare un apparecchio minaccioso, posto che si riesca a individuarlo” spiega Matteo Forte, CEO di ADPM Drones, una delle principali aziende produttrici in Italia con progetti e commesse che vanno dall’Esercito a RFI e rapporti di partnership con nomi di peso tra cui CISCO.
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“Si può tentare di prenderne il controllo introducendosi nella comunicazione tra l’operatore e il velivolo, oppure impedirla del tutto con un jammer. Ma esistono dispositivi in grado di resistere a questo tipo di manomissioni, perché un drone, una volta partito, contiene tutte le informazioni necessarie per completare una missione ed è quindi autonomo. Resta la possibilità – continua Forte – di fermarlo fisicamente, abbattendolo o circondandolo con una rete, magari gettata da altri droni: ma non sempre questo è consigliabile”. Soprattutto in contesti affollati.
In tempi di guerre informatiche si pone, ovviamente, il problema del controllo dei dati: la più grande ditta produttrice di droni al mondo è cinese, e c’è chi teme che le informazioni raccolte dagli apparecchi in volo possano finire nelle mani del governo di Pechino. Non molto diversamente dai sospetti avanzati da Trump per i telefonini. La sfida tra colossi ha trovato un nuovo scenario.
Per finire, il tema della privacy: le nuove norme impongono il divieto di scattare fotografie o registrare audio di persone non consenzienti. Paparazzi avvisati: superati i teleobiettivi, i droni sono ormai utilizzatissimi per rubare immagini “proibite” di eventi esclusivi.