Secondo un’indagine giornalistica sarebbero milioni i follower dei gruppi che propagandano l’esistenza di un ordine segreto che controlla il pianeta. Resta da capire come far fronte a questa isteria collettiva
Come tutte le leggende metropolitane, anche la bufala QAnon si basa su un fondo di verità: il traffico di esseri umani, un modo diverso di chiamare la schiavitù nel XXI secolo, esiste ed è un problema concreto in alcune aree del pianeta. Tuttavia, in una dinamica distorta tipica della isteria di massa, alcuni fatti sono stati piegati per giustificare una narrativa priva di alcuna concreta sostanza: in una profezia che finisce per auto-avverarsi, QAnon cerca di interpretare fatti reali in modi fantasiosi per giustificare posizioni e azioni altrimenti ingiustificabili. Un’inchiesta pubblicata su NBC News getta una nuova luce su questo fenomeno: che ha dimensioni più grandi di quanto si potesse immaginare, e pone una sfida non da poco per la gestione dei social network dove i sostenitori di questa bufala si ritrovano.
Fonte: Wikipedia
Che cos’è QAnon e com’è nata la teoria del complotto
QAnon è tecnicamente una teoria della cospirazione: un tentativo, privo di alcuna dimostrazione oggettiva, di interpretare fatti reali secondo una ricostruzione fantasiosa che immagina come alcuni eventi completamente disgiunti (elezioni politiche, guerre, morti violente, disastri) siano in realtà uniti da una trama segreta scritta da attori sconosciuti che si celano nell’ombra (anche noti come “Deep State”). QAnon nasce a cavallo con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, ha salde radici in un certo tipo di ideologia conservatrice che tuttavia ha profondamente distorto, e al principio è stata conosciuta da molti come “Pizzagate”.
Ciò che ha dato origine a QAnon era una fake news: una storia assurda su un presunto giro di sfruttamento di bambini che avrebbe avuto svolgimento in una pizzeria di Washington, salvo essere scoperto e sgominato dalla polizia, e in cui sarebbe stata coinvolta persino Hillary Clinton allora candidata alla Presidenza degli USA. Il tutto era partito da un fatto reale, la violazione dell’account di posta elettronica del responsabile della campagna della Clinton, su cui era stato costruito un castello di fandonie: rilanciate e farcite su Twitter, 4chan e altrove, in una dinamica di auto-convincimento tipica di queste vicende.
All’epoca la bufala era già stata ampiamente smentita, non prima però di causare parecchi problemi nel mondo reale: i sostenitori della teoria del complotto avevano finito per diventare aggressivi, prendendo di mira proprietari e dipendenti di ristoranti che ritenevano fossero coinvolti in questa inesistente rete di predatori pedofili, fino a diventare addirittura pericolosi imbracciando le armi per fortuna senza fare vittime. Come nelle più classiche teorie della cospirazione, gli invasati del Pizzagate finirono addirittura per sostenere che quegli atti violenti erano in realtà inscenati dai loro nemici ed erano stati imbastiti per screditarli.
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Quello che oggi chiamiamo QAnon è la stessa bufala che ha trovato una nuova dimensione e ha raccolto nuovi seguaci: da una teoria del complotto che riguardava soltanto gli USA si è passati a una cospirazione mondiale, che guarda a Donald Trump come potenziale condottiero di una rivoluzione (la cosiddetta “Storm”, tempesta) che dovrebbe spazzare via un misterioso establishment dedito a ogni forma di malversazione e prevaricazione, fino alla creazione di un nuovo ordine planetario che instauri un regime basato su valori tipicamente cristiano-fondamentalisti. Si tratta di un tipo di pseudo-culto religioso che trova fondamento in una cultura abbastanza distante dalla nostra: negli USA sono decisamente più diffuse che da noi sette millenariste o apocalittiche, la teoria QAnon altro non è che una reinterpretazione degli elementi di base di quel tipo di credenza.
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QAnon e i rischi per le Presidenziali USA
Quanto emerso sulle pagine di NBC News è frutto di una serie di fonti, che hanno voluto restare anonime, che hanno rivelato alla testata USA il frutto di un’inchiesta interna portata avanti da Facebook per fare luce sulle dimensioni e la portata del fenomeno QAnon. Secondo quanto si legge, ci sarebbero circa 3 milioni di utenti Facebook in qualche modo collegabili a gruppi pubblici e privati che fanno riferimento al movimento QAnon: un numero consistente, superiore a quanto si potesse immaginare sulla base di alcune altre situazioni analoghe del passato (in un certo senso QAnon è un po’ il complemento del movimento Anonymous), ma che non costituisce in ogni caso un valore troppo preoccupante visto che andrà sicuramente mondato di un gran numero di iscritti finiti lì per caso o che non si può certo definire attivisti.
https://twitter.com/sexxyglitter09/status/1293220819318067200
https://twitter.com/DadiiiDillz/status/1293018233461776385
Non è ancora chiaro come Facebook intenda affrontare la questione: il social è da tempo alle prese col problema delle fake news e di QAnon, gestite anche tramite un sistema di strumenti di verifica messi in piedi con associazioni esterne, e con la diffusione delle stesse fake news anche attraverso gli account di politici e personaggi in vista. In alcuni casi le tesi di QAnon sono state rilanciate persino dal Presidente USA, Donald Trump, e agli eventi pubblici organizzati da quest’ultimo sono state avvistate bandiere e t-shirt con una “Q” in bella vista: come sempre accade in questi casi, i seguaci QAnon sostengono invece di subire un trattamento oscurantista da parte dei media e delle forze politiche, evidentemente sotto il controllo dei loro nemici segreti, segno che la loro protesta è fondata. Negli scorsi mesi in un paio d’occasioni sia Twitter che Facebook hanno già preso iniziativa per fermare almeno in parte alcuni gruppi QAnon particolarmente attivi nelle loro azioni di disturbo.
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Per quanto possa far sorridere, ci sono dei risvolti preoccupanti di cui tenere conto: come già accaduto col Pizzagate, anche nel caso di QAnon sta emergendo una tendenza violenta che invita a imbracciare le armi e prendere l’iniziativa contro gli esponenti di questo ordine mondiale segreto contro cui lottare. A finire nel mirino di questi invasati sono stati personaggi come Bill Gates, George Soros, molti attori di Hollywood (l’industria del cinema sarebbe complice, il caso Jeffrey Epstein è usato come prova di tutto ciò) e persino gli utenti di TikTok. Il fatto che alcune dichiarazioni QAnon siano state riprese dai politici conservatori repubblicani, spesso in modo strumentale, non ha fatto altro che rafforzare certe convinzioni: e quanto stiamo vedendo in questi giorni nei grandi magazzini USA, con commessi e dipendenti assaliti dai sostenitori di movimenti che rifiutano di indossare la mascherina, altro non è che un’ulteriore emanazione di questa vicenda che tra l’altro è anche negazionista per quanto attiene il Covid19.
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I rischi di vedere la campagna per le Presidenziali 2020 condizionata, o almeno turbata, da eventi legati a QAnon è concreta: Facebook cerca di destreggiarsi sul sottile confine tra la libertà di espressione e la propaganda, rifiutandosi fin qui di prendere iniziative nette che in effetti correrebbero il rischio di trasformarsi in censura di posizioni legittime (sebbene estreme) nel caso in cui le linee guida per la gestione delle community non fossero chiare. La politica, da parte sua, stenta a farsi strada in questo intricato labirinto: non esistono regole e leggi per questo tipo di situazione, forse è meglio che continuino a non esserci per evitare che ledano le libertà individuali, e per qualcuno questa incertezza potrebbe persino rivelarsi utile.
Sullo sfondo, poi, c’è un conflitto di interesse inevitabile: Facebook, Twitter e tutti gli altri social network non sono delle società senza scopo di lucro, bensì delle legittime aziende che stanno sul mercato per trarre profitto. Essendoci di mezzo interessi economici e investimenti pubblicitari è facile scorgere dove la situazione finisca per farsi parecchio intricata: prestando massima attenzione a non diventare a nostra volta teorici della cospirazione, c’è da augurarsi che prevalga il buon senso e che la collaborazione tra i social media prosegua per arginare questi fenomeni che persino secondo l’FBI potrebbero diventare pericolosi.