350 volontari hanno fatto la differenza a Milano con la brigata alimentare Lena-Medotti. La sua storia parte da lontano ma guarda al futuro
Se da un punto di vista sociale Milano ha tenuto bene durante i mesi più difficili è stato anche grazie al lavoro delle brigate alimentari. Queste squadre sono nate spontaneamente in risposta ai danni collaterali della pandemia e sono state subito integrate nella Food Policy, la politica alimentare della città, particolarmente sotto pressione in questo periodo. La capacità del Comune di fare da tessuto connettivo al volontariato è storicamente una delle cose che funzionano meglio in città: Palazzo Marino ha fatto da regia, mentre Emergency ha messo a disposizione l’esperienza operativa e sanitaria. Le brigate hanno fatto il resto, ci hanno messo il lavoro e la conoscenza del territorio, muovendosi parallelamente a istituzioni molto più grandi e strutturate, come Caritas e Banco Alimentare. Raccontare il loro lavoro è mostrare uno dei tanti lati solidali della città, ma anche le falle del suo modello e il futuro del volontariato a Milano.
La brigata Lena-Medotti
La Lena-Modotti è stata una delle brigate più attive durante (e dopo) l’emergenza. Valori e ispirazioni risuonano già dal nome. Lena D’Ambrosio è stata una partigiana milanese ed eroina della Resistenza, è morta lo scorso giugno, a 98 anni. Tina Modotti è stata una delle grandi fotografe della prima parte del Novecento, ha partecipato alla guerra civile spagnola ed è morta in Messico nel 1942. La brigata ha origine dal collettivo Lambretta, è stata formata pochi giorni prima del lockdown in Lombardia, nella settimana in cui i contagi hanno iniziato ad andare fuori controllo e siamo entrati in un mondo nuovo. Fabrizio Ungaro, che di mestiere è banconista in un ristorante, ha coordinato i volontari durante l’escalation dei bisogni, una storia comune a molte associazioni durante l’emergenza, con le attività che si allargavano per tamponare giorno dopo giorno un problema sempre più grande: «Siamo partiti dalla spesa a domicilio per gli anziani, poi abbiamo attivato il servizio dei pasti caldi per i senzatetto attraverso donazioni di panifici e pizzerie, da aprile abbiamo distribuito i pacchi alle famiglie bisognose della città. Abbiamo visto la povertà espandersi a vista d’occhio».
“Consegneremo pacchi fino a dicembre”
La Brigata Lena-Modotti ha raggiunto con i suoi pacchi alimentari più di 11mila famiglie in difficoltà sociale o economica. Ha lavorato al fianco della Croce d’Oro Milano per le spese di medicinali, con la Croce Rossa Italiana e Rob de Matt per i pasti ai senzatetto, ha organizzato 80 collette di condominio e raccolto circa 40mila euro sulla piattaforma di crowdfunding Gofundme. Ha distribuito 200 pacchi di libri e 20 computer per la didattica a distanza ai bambini segnalati dall’Associazione del Sole Amici del Trotter. Insomma, hanno lavorato come matti, senza fermarsi mai, rispondendo a molti più bisogni di quelli che pensavano di incontrare. La domanda, ora che siamo nella Fase 3, è sul futuro delle brigate come questa. I contagi sembrano essere in controllo anche in Lombardia, mentre l’emergenza sociale potrebbe al prologo: «Noi ci siamo dati la prospettiva di consegnare i pacchi alimentari fino a dicembre», spiega Ungaro. «Abbiamo ridotto l’importanza del centralino, perché non abbiamo abbastanza derrate. Ci stiamo per dare la forma di un’associazione e abbiamo bisogno di un magazzino, quello che usiamo ora è la palestra del centro sociale, che ora deve tornare ai suoi usi abituali».
350 volontari
Le domande sul futuro della brigata intercettano due questioni più ampie. La prima è sull’attivismo e il volontariato a Milano, che – come avevamo raccontato anche nel caso dell’emergenza delle persone senza fissa dimora – sembrano essere nutriti da una nuova voglia di partecipare. I milanesi hanno scoperto il desiderio di essere coinvolti, presenti, attivi. Solo nella Lena-Modotti i volontari sono stati 350, molti alla prima esperienza. «Mi ha colpito tutta questa gente disponibile a fare qualcosa, una domanda di partecipazione che prima non riuscivamo a intercettare. Questa capacità, questa voglia a Milano ci sono sempre state, la crisi le ha fatte emergere». Ci sono stati i volontari, ma anche le persone intercettate per strada che hanno contribuito con donazioni praticamente sul momento, oppure le collette solidali dei condomini. «Non vogliamo essere un nuovo terzo settore», spiega Fabrizio. L’idea di fondo delle brigate va oltre la beneficienza, l’idea che il confine tra chi dona e chi riceve sia invalicabile. L’orizzonte è quello di una nuova partecipazione politica, pratica, concreta e di territorio. «Il nostro obiettivo ora è dare continuità al lavoro, portare appoggio, ascolto, oltre al cibo, creare un legame di fiducia. Tante delle persone alle quali abbiamo consegnato i pacchi, poi sono venute da noi chiedendo di partecipare all’attività». Le Brigate possono diventare sia un presidio che un punto di riferimento sul territorio: «Uno dei progetti che abbiamo è mettere a sistema i dati che abbiamo raccolto in questi mesi, per fare una mappa della povertà da sovrapporre alla mappa di Milano». Un lavoro che sarebbe particolarmente prezioso nelle Zone 2 e 3 della città, quelle della Lena-Modotti: siamo in area No-Lo, qui gentrificazione e povertà si intrecciano spesso a distanza di un incrocio, col rischio che la seconda diventi invisibile a causa della prima.
La seconda questione è sul modello Milano. «La città si è fatta male perché è caduta da un punto molto alto», ha detto Beppe Sala in un’intervista al Corriere della Sera. La caduta ha fatto emergere le sue contraddizioni, una parte della città non era mai stata coinvolta nel piano di volo e al gate non ci era mai arrivata, per rimanere dentro la metafora del sindaco. Tutte le grandi metropoli europee hanno accumulato negli ultimi decenni diseguaglianza e sviluppo, Milano ha l’opportunità di correggere quel modello. «Il disagio economico non è spuntato a caso, non è stato portato dal virus. La povertà esisteva già, è stata solo amplificata e i veri effetti di questa amplificazione li vedremo tra qualche mese. Abbiamo incontrato tantissime persone che non sono mai state strutturalmente in grado di risparmiare niente, perché appese a un solo stipendio o a lavoro in nero, in una città sempre più cara. Bastano due mesi senza reddito per finire nella povertà, a Milano c’è chi non ha i soldi per comprare il dentifricio».