L’universo del mangaka Eiichiro Oda torna a solcare il mare dei videogiohi. Con il titolo più riuscito di sempre. Da Bandai Namco e ILCA un JRPG spumeggiante
Come la definireste una saga che va avanti dal 1997? Imponente, grandiosa, oppure eterna? One Piece, anime e manga giapponesi frutto del genio creativo di Eiichiro Oda, ha attraversato anni e anni di cultura pop, rimanendo fresco e giovane al punto che i suoi fan continuano ad aumentare. Lo fanno perché gli episodi del cartone animato continuano ad andare avanti, ma anche perché l’IP ha avuto altre trasposizioni, soprattutto nel videoludo. Su next gen era davvero attesa l’ultima fatica di Bandai Namco, sviluppata da ILCA: stiamo parlando di One Piece Odyssey, JRPG a turni ispirato alle avventure del pirata più strambo mai arrivato dall’Oriente (per l’Occidente, ci spiace, ma rimaniamo molto affezionati a Guybrush Threepwood di Monkey Island).
Iniziamo col dire che, come ha già detto buona parte della critica, One Piece Odyssey è finora il miglior videogioco mai sviluppato che omaggia l’opera del mangaka Oda, un prodotto che finalmente rende onore a Rubber e compagnia. Localizzato in italiano e con doppiaggio in giapponese che vi calerà subito nell’atmosfera giocosa e spumeggiante dell’anime, il videogioco parte con il botto. Meglio, una caduta dal cielo. La Thousand Sunny di Luffy viene improvvisamente sollevata fra le nuvole da una misteriosa forza per poi rovinare al suolo.
Per chi non conoscesse i personaggi della saga questo è il momento delle presentazioni: con un cinematica meravigliosa che vale da antipasto della ricchezza grafica del titolo ogni membro della ciurma viene presentato, ciascuno con i propri poteri devastanti. Chiude, ovviamente, il nostro Rubber (così viene chiamato nell’anime tradotto in italiano) servendo il suo micidiale pugno gam gam. Ma le cose vanno di male in peggio e il gruppo finisce su una misteriosa isola di nome Waford, sulla quale nonostante il tempo soleggiato continuano a scagliarsi fulmini misteriosi.
Ha inizio così l’avventura, tra un sacco di dialoghi esilaranti e momenti per esplorare la mappa. One Piece Odyssey non è un open world, ma un videogioco nel quale la densità dell’esperienza sta tanto nei dialoghi e nella trama originale, quanto nella profondità (accessibile) del combat system. Nei primi secondi di gioco pilotiamo Luffy che, oltre ad aver perso il suo inseparabile cappello, deve ritrovare alcuni membri della squadra dati per dispersi.
Naturale che in questa fase iniziale il gamer abbia modo di scoprire come si struttura il gameplay. I dialoghi e le interruzioni, va detto, non sono pochi e questo potrebbe rendere l’esperienza non proprio fluida. Per interagire con personaggi o momenti di scontro lo schermo va a nero, smorzando per pochi istanti l’entusiasmo della scoperta di un mondo colorato e pieno di riferimenti autentici all’universo di One Piece.
Bandai Namco, di cui spesso recensiamo titoli e che altrettanto di frequente ci sembra troppo impegnato sul retro gaming, ha stavolta confezionato un videogioco senz’altro non perfetto, ma che ha il pregio di ingolosire un pubblico mainstream, anche non per forza pescando dai fan sfegatati di Rubber. Parliamo ora del combattimento. Come JRPG, One Piece Odyssey è ben incardinato nello schema dei turni.
Oltre agli attacchi, i nostri eroi hanno anche abilità speciali (una marea) che si possono spendere dando in cambio punti come monete. Oltre alla soddisfazione di abbattere i numerosi mostri che si incontreranno, il bello di One Piece Odyssey sta anche nel ricco catalogo di power up e potenziamenti che, una volta selezionati, danno il via a brevi filmati tanti belli da sembrare strappato a un episodio dell’anime.
A livello di audio design One Piece Odyssey vale il biglietto, così come il comparto grafico che, al netto di qualche pop up, è davvero piacevole. Un vero peccato che in alcuni casi l’esplorazione venga rallentata da alcune scelte che rendono poco fluida la corsa: Rubber per aggrapparsi alle rocce e superare burroni deve prima mirare e poi sparare il pugno: l’effetto è comunque strepitoso, ma avrebbe potuto essere meno frenato.