Autore del videogioco Mediterranea Inferno, Lorenzo Redaelli racconta la storia dei Ragazzi del Sole. Un viaggio onirico nel sud-Italia che vuole scuotere il gamer. «La sfida? Creare persone da odiare e amare al tempo stesso»
«Bisognava esagerare. Sapevo che sarebbero stati personaggi a cui riservare un trattamento drastico e sadico. E come per Milky Way Prince: The Vampire Star, anche in questo titolo ho scelto di parlare di cose che conosco». Su StartupItalia la community ha già avuto modo di scoprire la cifra stilistica di Lorenzo Redaelli, 28 anni, creatore di esperienze videoludiche toste e disturbanti. In occasione del lancio di Mediterranea Inferno, che abbiamo avuto modo di giocare su PC, siamo tornati a raccoglierne gli spunti per capire non la lezione, ma la ragione di certi prodotti.
Le storie di Mediterranea Inferno
Mediterranea Inferno racconta di Claudio, Andrea e Mida, meglio noti come i Ragazzi del Sole, leader incontrastati nel panorama gay di una Milano insolita e decostruita, per metterne in mostra soltanto i palchi più estremi. Tutto avviene ai giorni nostri, alla fine della pandemia, quando le cose sembrano tornate alla normalità. Per recuperare le occasioni mancate e fuggire dalla grande città, il gruppo decide di raggiungere il sud Italia, percorrendo l’autostrada adriatica fino in Puglia, dove godersi di nuovo quella chimica.
Come per Milky Way Prince: The Vampire Star, anche Mediterranea Inferno occupa il gamer per poche ore, portandolo ai titoli di coda dopo aver attraversato un oceano di sensazioni e turbamenti. «Sono partito da quel che mi piaceva fare da bambino: giocare ai videogiochi della Walt Disney in cui rivivevi il film. Per quanto stupidi, mi sono rimasti nel cuore». Lorenzo Redaelli ha inserito meccaniche punta e clicca, attraverso le quali si ha modo di seguire una propria strada. Ogni scenario che ci si apre davanti agli occhi dà modo di esplorarlo, seguendo una strada piuttosto che un’altra.
In cerca di sincerità
Se nel precedente titolo era forte l’impronta onirica e surreale, in Mediterranea Inferno è accentuata ancora di più. L’Italia del sud è famigliare e al tempo stesso inquietante, caldissima nei colori (quasi infuocata), con continui simboli che mescolano linguaggi tra loro differenti. In inglese – scelta che senz’altro apre il titolo a un mercato più ampio -, ci siamo presto resi conto che le immagini talvolta schiacciano le parole.
Con questo titolo si consolida ancora di più lo stile grafico e artistico di Redaelli, un creativo che si potrebbe definire seguace di un certo stile manga. «Amo i gekiga, manga che potremmo definire seri, differenti rispetto a quelli più pop. Affrontano tematiche scabrose e in alcuni casi disturbanti». Il fatto che i protagonisti di Mediterranea Inferno siano tre giovani omosessuali non deve far intendere che questi dettagli siano decisivi ai fini della trama. «Non conosco abbastanza il settore dei videogiochi per poterne parlare – premette Redaelli – ma in generale credo si stia cercando la quota LGBTQ+ nei prodotti. Il rischio è che tutto sia fine a se stesso, senza un valore artistico o sociale. Bisogna chiedersi oggi quanto spazio davvero ci sia per essere sinceri e complessi».
Aspetti che abbiamo ritrovato più che approfonditi in Mediterranea Inferno, i cui protagonisti sono estremi perché così bisognava fare. «Sono personaggi difficili e la sfida era creare figure da odiare e amare al tempo stesso». L’essere disturbante è voluto perché «fa parte del modo in cui il personaggio comunica. È grazie a quello che ci si affeziona a loro e mi piace il fatto che quando fai una run arrivi a conoscere il personaggio che hai lasciato indietro, e lo vedi nella sua vera natura». Se Milky Way Prince: The Vampire Star si legge come un diario che custodisce dettagli molto intimi, Mediterranea Inferno è un’opera teatrale, con un sipario e luci che si concentrano su punti specifici. Scontato chiedere a ogni artista o creativo che messaggio vuole veicolare, anche se la domanda spesso mette a disagio. «Odio l’idea di dover insegnare qualcosa. Ho semplicemente dipinto quello che vedo».