Il target LGBTQ costituisce una nicchia di mercato appetibile per le grandi aziende. E la possibilità di registrare la propria attività legandola direttamente (anche) al mondo gayfriendly, rappresenta un’ulteriore opportunità di sviluppo
Il web diventa più “arcobaleno” e aperto alle istanze omosessuali. E, non secondariamente, commerciali. Da oggi infatti è possibile registrare il proprio sito con il suffisso “.gay”. La decisione arriva dopo tante prove e ancor più polemiche circa l’opportunità o meno di creare un dominio di primo livello riconducibile esclusivamente alla comunità LGBTQ.
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Le regole del dominio
Ma, così come nel Fight Club, ci sono alcune regole ferree, pena il blocco immediato. Non si potrà usare questo dominio per diffondere “contenuti anti-LGBTQ o per diffamare o danneggiare individui o gruppi LGBTQ”. I comportamenti proibiti includono “molestie, minacce e incitamento all’odio”.
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A parte questo, quasi tutto il resto è lecito. In più, per ogni registrazione effettuata, il 20% del guadagno viene donato a GLAAD e CenterLink, due associazioni benefiche che si occupano di sostenere e tutelare i diritti della comunità omosessuale.
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Una mossa di marketing?
Ma al di là delle considerazioni legate ai diritti civili, pur importanti per un’iniziativa che – a detta di chi l’ha fortemente voluta – vuole creare uno spazio più “inclusivo e accogliente”, la vera opportunità che molti analisti vedono in questa scelta sta nelle ricadute economiche. Da molti anni, infatti, il target LGBTQ costituisce una nicchia di mercato appetibile per le grandi aziende, come per i soggetti più piccoli. E la possibilità di registrare la propria attività legandola direttamente (anche) al mondo gayfriendly, rappresenta un’ulteriore opportunità di sviluppo. Soprattutto in un periodo come questo, dove il coronavirus ha messo in crisi non poche attività economiche.
I settori che storicamente sono più interessati da quella che viene definita la gay-economy sono la musica, lo spettacolo, i viaggi e l’intrattenimento. E anche se fare stime per questo segmento è sempre difficile, va tenuto in considerazione che già nel 2014 il potere d’acquisto della comunità gay nei soli Stati Uniti veniva calcolato intorno ai mille miliardi di dollari, mentre nel nostro paese si calcola un giro d’affari di oltre 120 miliardi di euro. Per non parlare del mercato cinese, preso spesso come parametro di confronto per capire gli scenari presenti e futuri: qui la gay-economy vale dai 300 ai 500 miliardi di dollari all’anno.
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Numeri che da soli fanno capire come puntare sul segmento LGBTQ non solo può risultare redditizio nel breve periodo, ma può essere un “filone” da tenere d’occhio nelle strategie di marketing future, per cogliere le opportunità di mercato che ciclicamente si aprono. Anche per chi vorrà lanciare nuovi progetti imprenditoriali.