Psicoanalista e sociologo, Luigi Zoja ha compiuto le sue prime ricerche sociologiche nella seconda metà degli anni ’60. Nato a Varese 81 anni fa, vissuto tra Milano, Zurigo e New York, ha mosso i suoi primi passi nella psicoanalisi al Carl Gustav Jung Institut di Zurigo, dove ha studiato dopo la laurea in Economia conseguita a Milano. Oltre a svolgere la sua attività di psicoanalista, è anche un saggista. Tra le sue ultime opere c’è “Il declino del desiderio”, uno studio approfondito sulla sessualità nell’era della Gen Z e dei nativi digitali. Lo abbiamo intercettato per farci spiegare, in occasione della Giornata mondiale sulla Salute mentale, quali sono oggi le priorità che, dal suo punto di vista, devono essere affrontate prima di altre e perchè.
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Dottore, ha vissuto in diverse città del mondo, ma quale è la città che, più di altre, sente “sua”?
Milano, senza dubbio. Sono nato a Varese perchè, nel ’43, Milano era sotto le bombe e la mia famiglia era scappata sul lago Maggiore. Finita la guerra, siamo tornati a Milano, mi sono laureato in Economia e poi ho traslocato in Svizzera per iniziare gli studi al Carl Gustav Jung Institut di Zurigo. Dopo quell’esperienza ho vissuto un paio di anni a New York, ma non mi sono mai integrato nella grande city americana. Credo che sia più facile provarci da giovani, quando si hanno tante e energie e sogni nel cassetto. In quell’occasione, però, ho trovato ispirazione per un libro che parla della paranoia, erano i primi anni 2000, un periodo molto particolare da un punto di vista storico per l’America. Dopo New York sono tornato a casa, appunto, a Milano.
A proposito di paranoia, è un disturbo che riscontra spesso nei suoi pazienti?
Partirei dallo specificare che il mio target è molto variegato e che, per mia scelta, non mi sono mai posto un limite in questo senso. Devo dire che non riscontro paranoia nei miei pazienti, ma nel panico collettivo. Soprattutto dopo l’11 settembre, tutti sono diventati un po’ paranoici. Ma io non vedo paranoia nei miei pazienti: il vero paranoico non andrà mai in analisi. Lui sa già cosa non funziona, ma fuori da lui. I 20enni di oggi, i cosiddetti “nativi digitali”, hanno, invece, sviluppato una stretta correlazione tra l’uso degli schermi e la propria vita sociale. L’utilizzo dello smartphone nella Gen Z varia tra le 5, le 6 ore e oltre al giorno, generando un’influenza fortissima sulla quotidianità di questi ragazzi. In questo contesto, è difficile stabilire un rapporto causa-effetto, ma posso dire per certo che sono in aumento le forme di ansia e depressione tra i giovani.
Ma da che cosa dipende, in particolare, secondo lei?
Indubbiamente, l’utilizzo eccessivo di questi strumenti incide in maniera negativa nella socialità. A dirlo sono anche i dati: la sessualità giovanile sta crollando, e ci si chiede come mai. Oggi l’adolescente è spesso spaventato, depresso e questo comporta una riduzione forte della sessualità. Se facciamo un paragone con gli anni precedenti al 2000, si nota che dal nuovo millennio in poi la sessualità è drasticamente calata. Questo succede, a mio parere, anche perché i giovani d’oggi non hanno esperienza né conoscenza del corpo dell’altro sesso ma sono completamente catturati da questi schermi, credono di aver capito come sia fatta la donna – o l’uomo – ma in realtà non ne sanno niente.
Eppure oggi tanti tabù e retaggi del passato sono caduti…
Si, è vero, ma allo stesso tempo viviamo in un Paese dove la componente cattolica incide tantissimo, e non possiamo nascondercelo. Pertanto, anche i dati sulla sessualità dei giovani, che io ho trattato nel mio libro “Il declino del desiderio”, restano spesso nascosti alla popolazione. Si deve pensare che, invece, queste statistiche hanno un’influenza sull’economia, sul costume, sulla demografia. Se la sessualità diminuisce del 30% o del 50%, è matematico che ci saranno anche 30% o 50% probabilità di nascite in meno.
Che correlazione c’è, precisamente, tra il calo del desiderio e mondo online?
Teniamo presente che i ragazzi di oggi, spesso, prima di fare sesso vedono qualche porno online, ma sappiamo che quello che si può vedere su uno schermo non coincide con la realtà, e così si generano aspettative che vengono puntualmente disattese. È quello che viene identificato anche con il termine “deepfake”. Tutto questo rende i ragazzi e le ragazze molto più timidi/e e spaventati/e. Mi è capitato, ad esempio, che giovani pazienti, attorno ai 20 anni, siano venuti da me dicendomi: “Ho fatto qualcosa con la mia fidanzata dopo un anno e mezzo che ci dormo assieme”. La cosa che sorprende è che per un anno e mezzo questa giovane coppia abbia dormito fianco a fianco senza aver provato a interagire da un punto di vista sessuale.
Ma è qualcosa che riguarda soltanto i giovanissimi?
L’ansia legata a un uso eccessivo dello smartphone si verifica anche negli adulti. Può portare a una privazione nell’affettività e a una manifestazione sempre più frequente dell’aggressività. Si è talmente condizionati da ciò che si guarda attraverso lo schermo, che la visione può generare sentimenti di ostilità che possono anche sfociare, in certi casi, in violenza o bullismo. Nella brevità, come può essere quella di un video, si riesce a veicolare l’aggressività, mentre non si riesce a utilizzare questo stesso strumento per manifestare affettività.
Secondo lei, su che cosa si dovrebbe far leva in modo prioritario oggi?
Senza dubbio si dovrebbe puntare sull’educazione, sia sessuale che affettiva. Per fare un esempio, provare a scrivere una lettera anziché una email, oppure un’email che abbia le caratteristiche di una lettera, chiedendosi, prima di tutto: “Che sensazioni provo verso la persona alla quale sto scrivendo?”. Inoltre, un altro tema di cui si parla troppo poco è il quoziente di intelligenza. Le curve che io e i miei colleghi studiamo oggi sono in calo, e anche questo aspetto è molto preoccupante perché è indice di mancanza di pensiero autonomo. E tenerlo presente dovrebbe essere, invece, una priorità per tutti.