In un mese 70 famiglie italiane hanno offerto ospitalità e 60 persone si sono candidate come volontari
Da quando il caso “Aquarius” ha destato polemiche e malumori in Italia (e non solo), il sito di Refugees Welcome ha visto triplicare le iscrizioni. Sia da parte di famiglie che vogliono ospitare un rifugiato per un determinato periodo di tempo, che di persone che vogliono prestare servizio di volontariato. La piattaforma online che mette in contatto migranti in stato di protezione che stanno per terminare la permanenza nei centri di accoglienza e famiglie desiderose di accompagnare questi ragazzi verso l’autonomia, ha visto l’iscrizione di 70 nuclei familiari in un mese, mentre 60 persone vorrebbero diventare volontari.
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La onlus, nata in Germania nel 2015 e presente in 13 paesi dell’Unione Europea, oltre a Canada e Australia, permette a giovani rifugiati, o in stato di protezione, in media tra i 19 ed i 28 anni, di potersi integrare nel miglior modo possibile nella società. Come? Iscrivendosi al sito , le famiglie che possono garantire vitto e alloggio ad un ragazzo per un minimo di 6 mesi, e i rifugiati, usciti dai centri, in cerca di sistemazione temporanea, possono stabilire un contatto e dar vita ad una convivenza di 10 mesi circa.
Come funziona Refugees Welcome
Una volta terminata l’iscrizione, volontaria, scatta la seconda fase del procedimento. Il requisito minimo obbligatorio per poter accogliere un giovane in casa è quello di avere disponibilità di una stanza singola vuota. “Per esempio, in una famiglia dove il figlio vive fuori casa, oppure, semplicemente, dove vi sia la volontà di aiutare il prossimo”, spiega Sara Consolato, responsabile della comunicazione di Refugees Welcome Italia.
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Per quanto riguarda il rifugiato iscritto, invece, è il centro di accoglienza che lo ospita a decretarne l’idoneità o meno. “Una volta accertati questi requisiti, i nostri facilitatori, presenti in 16 capoluoghi di provincia italiani, procedono ad un colloquio telefonico conoscitivo nei confronti delle famiglie. Qualora l’esito sia positivo, i volontari di Refugees e i candidati ospitanti si incontreranno di persona”, continua la responsabile.
L’abbinamento famiglia-ragazzo sarà deciso in base a determinate caratteristiche, come il tempo che la famiglia può dedicare al giovane. “Se il primo incontro tra ospitante ed ospitato, in luogo neutro, va a buon fine, ne pianifichiamo almeno un secondo, questa volta nella casa della famiglia. Se il feedback, in entrambi i casi, è positivo, si può avviare una convivenza, per un tempo minimo di 6 mesi”.
Gli obiettivi della onlus
L’associazione di terza accoglienza, interamente autofinanziata, vuole facilitare l’integrazione dei rifugiati nel paese di cui, un domani, saranno cittadini. Il fine ultimo di Refugees Welcome è quello di creare una relazione umana, evitando, così, che i giovani, usciti dai centri di accoglienza, si ritrovino per strada, allo sbaraglio. “Il nostro senso profondo è quello di operare per un cambiamento culturale. All’interno della famiglia ospitante, i ragazzi, oltre a imparare bene la lingua, hanno l’opportunità di conoscere la nostra cultura e le nostre tradizioni. E, grazie al nostro progetto, possono prendersi un po’ di tempo di per capire cosa voler fare nella vita”, spiega Sara.
Una volta finito il periodo di accoglienza, accade spesso che molte famiglie che hanno ospitato diventino esse stesse attiviste e ci supportino ad aiutare nuovi ospitanti. I rifugiati, provenienti, soprattutto, da Mali, Eritrea, Somalia, Nigeria, Corno d’Africa, Afghanistan e Siria, possono partecipare al progetto fino ad un massimo di due convivenze, in media di dieci mesi ciascuna.
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Tra le storie più coinvolgenti che Sara abbia vissuto, c’è quella di una ragazza sudafricana: «Le era stato prospettato un futuro come badante – racconta – ma la famiglia che l’ha accolta ha saputo ascoltarla e, dato che a scuola aveva sempre ottenuto ottimi voti, l’ha convinta ad iscriversi in un istituto italiano. Poco tempo fa, la giovane ha ottenuto, presso l’Università americana di Roma, una borsa di studio di una settimana nella Silicon Valley. Se non ci fosse stata questa famiglia a spronarla e dedicarle tempo ed attenzione, probabilmente avrebbe fatto la badante tutta la vita. Una volta, una signora ospitante di Macerata mi disse una frase che mi ha profondamente toccato: “Io, come voi, aiutiamo questi ragazzi a riappropriarsi dei sogni”».