Gli ambientalisti avrebbero le prove dell’uccisione di oltre 50 esemplari. E intanto il governo nipponico rinnova la propria flotta
La mattanza dei cetacei non si ferma. Del resto, è tristemente nota la passione dei giapponesi per la carne di balena, vietata nella maggior parte dei mercati, tra cui quello europeo. E proprio il Giappone rifornirebbe clandestinamente sia i ristoranti degli Stati Uniti d’America, sia quelli del Vecchio continente. L’estate è il periodo migliore per la caccia ai capodogli e, stando all’ultima denuncia del WWF, le baleniere nipponiche avrebbero compiuto l’ennesima mattanza in acque protette.
Cosa dicono le accuse del WWF
Secondo quanto riportano gli attivisti del WWF, le imbarcazioni nipponiche avrebbero violato il Santuario dell’Oceano Meridionale, un’area marina nel Mare di Ross protetta e interdetta all’attività di pesca dalla Commissione per la conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartico (CCAMLR). Gli ambientalisti sarebbero in grado di provare non solo la violazione dei confini da parte delle baleniere giapponesi, ma anche la mattanza di oltre 50 esemplari con diversi documenti e hanno già richiesto l’intervento della CCAMLR e della International Whaling Commission (IWC) – gli enti internazionali competenti in materia – affinché ingiungano al governo di Tokyo la cessazione delle attività in quella parte di mare dell’Antartide.
La replica del governo nipponico
Il Giappone, che ha firmato la moratoria sulla caccia alla balena dell’International Commission in Whaling, respinge però le accuse, sostenendo che la spedizione avesse esclusivamente scopi scientifici. Tokyo si appella soprattutto a una legge interna, varata dal parlamento del Sol Levante qualche anno fa per dimostrare al mondo la propria intenzione di limitare anche la “pesca scientifica”, termine di facciata per nascondere l’attività di frodo. La norma impone un limite alla mattanza pari a 3.996 esemplari entro il 2027, ovvero 333 balene pescate l’anno.
Fonte: International Whaling Commission (IWC)
La sentenza dell’Aja rimasta lettera morta
Ma c’è un problema: la norma richiamata dal Giappone è interna, mentre, come ricorda il WWF, la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja nel 2014, in una sentenza divenuta storica, non ha riconosciuto i fini scientifici della attività ittica imponendo al Paese asiatico e agli altri Stati che ancora la praticano, soprattutto Norvegia e Islanda, l’immediata cessazione della caccia nell’Oceano Antartico. La decisione dell’Aja non solo non poteva essere impugnata ed è vincolante, ma ha valore di legge superiore a qualsiasi norma interna varata successivamente dal governo nipponico che pure, sul punto, continua però a fare orecchie da mercante. Anzi, da pescatore.
Fonte: International Whaling Commission (IWC)
Il Giappone sta rinnovando la propria flotta?
Non solo non è cambiato nulla ma la situazione, se possibile, è persino peggiorata. Secondo quanto riportava lo scorso gennaio lo Yomiuri Shimbun, tra i più importanti quotidiani del Sol Levante, il governo sarebbe in procinto di investire una somma significativa destinata all’acquisto di una nuova baleniera o alla ristrutturazione di una usata che sostituisca la famigerata Nisshin Maru, l’ammiraglia nipponica più nota e osteggiata soprattutto dagli animalisti di Sea Shepherd che, per decadi, hanno ingaggiato avventurose battaglie navali con la flotta nipponica.
Ma c’è di più perché, nel medesimo periodo, l’Agenzia della pesca aveva avanzato la richiesta all’esecutivo giapponese di uno stanziamento pari a 900mila euro per uno studio sul futuro della caccia commerciale di balene. Soldi che di fatto sarebbero destinati all’ammodernamento e al potenziamento della flotta che non dà tregua alle balene.
Sea Sheperd abbandona il mare. Le balene sono rimaste sole
Si accennava agli eco-pirati di Sea Sheperd: proprio loro, non più tardi della scorsa estate, avevano mestamente ammainato il Jolly Roger (il vessillo nero con il teschio), annunciando di non poter più competere con le baleniere nipponiche che utilizzano una tecnologia particolarmente avanzata, di tipo militare, per le loro mattanze. Così facendo, è divenuto impossibile per la flotta ecologista inseguire le navi nipponiche, frapponendosi tra queste ultime e le balene. In 40 anni di scorribande marittime, Sea Sheperd ha salvato comunque non meno di 6500 capodogli, come ha ricordato il suo carismatico capitano, Paul Watson, in un bellissimo volume illustrato che avevamo già trattato qui su Impact.
Qual è la situazione dei cetacei?
L’addio alle armi di Sea Sheperd arriva in un periodo particolarmente critico per le balene. Non esistono numeri certi circa la popolazione dei cetacei e, secondo i report di associazioni animaliste come l’Animal Welfare Institute, l’OceanCare e il Pro Wildlife Found, oggi sopravviverebbero a stento ormai mezzo milione di esemplari. La situazione è resa ancora più precaria dal fatto che il periodo della pesca (estivo, perché i mari dell’Antartide sono più accessibili) coincida con quello delle gravidanze. E gli esemplari gravidi sono quelli più frequentemente catturati, non solo perché più lenti ma anche perché tornano più spesso in superficie a riprendere ossigeno. Delle 333 balene uccise dalle flotte del Sol Levante nel 2016, 200 erano femmine in stato interessante.
Come si è detto, il Giappone si è auto-imposto il limite di 333 esemplari annui uccisi, mentre si stima che la Norvegia e le Isole Fær Øer ne peschino un migliaio a testa, l’Islanda non più di 200. Non sembrano numeri impressionanti ma nessuno può sapere ciò che accade davvero in mare aperto e senza Sea Sheperd a dare battaglia alle baleniere solo il WWF può continuare l’importante battaglia per la sopravvivenza di questo colossale ma inerme mammifero marino.