Per gli esperti va trattato come gli altri perché danneggia l’ambiente, sconvolge i livelli ormonali, i ritmi circadiani e le abitudini di alimentazione, accoppiamento e di vita di migliaia di specie. Ma si fa sentire anche sull’essere umano. Ecco perché è sbagliato illuminare sempre, ovunque e comunque
Le emergenze globali non si sostituiscono ma si sovrappongono l’una con l’altra. Nel pieno della pandemia da Sars-Cov-2, con un quadro epidemico sempre più complesso ma in attesa di prossime e confortanti novità in termini di vaccini, farmaci e di trattamenti, l’ambiente rimane al centro della scena. La nostra salute è figlia di quello che accade nell’ecosistema e d’altronde anche il nuovo coronavirus, come la stragrande maggioranza dei virus che danneggiano più ferocemente l’essere umano, è una zoonosi. Viene cioè dagli animali e spesso fa il salto di specie perché gli habitat e gli equilibri fra le specie di deteriorano o sbilanciano, si toccano e si mescolano per le ragioni più diverse, spesso legate a sfruttamento del suolo, alimentazione o promiscuità influenzata magari da scarsi livelli d’igiene. Fenomeni intensissimi non si placano, fra tempeste e uragani sempre più frequenti e intensi come negli Stati Uniti o nel Sudest asiatico, così come lunghe fasi di siccità record ad esempio nelle estati 2018 e 2019 in Europa. E intanto si aprono nuovi fronti, ai quali forse nel tempo abbiamo pensato meno.
L’inquinamento luminoso
L’inquinamento luminoso è uno di questi fronti. E andrebbe trattato proprio come ogni altro tipo di inquinamento, da quello dei mari e dei terreni al riscaldamento globale. Il suo impatto sugli ecosistemi (e sulla nostra salute) è ormai molto ampio e problematico. Lo spiega un’indagine firmata da un team di biologi dell’università britannica di Exeter secondo la quale l’illuminazione artificiale del pianeta cresce in modo roboante in vastità e intensità. Più o meno del 2% all’anno. Producendo problemi che ormai possono essere paragonati a quelli indotti dal cambiamento climatico.
Quali sono questi problemi? Scompenso dei livelli ormonali, cicli di alimentazione e accoppiamento saltati o ritardati, schemi di attività rivoluzionati e vulnerabilità ai predatori sono conseguenze dannosissime per un ampio spettro di specie viventi, spiega il gruppo in un paper pubblicato sulla rivista Nature Ecology and Evolution. Si va dalla ridotta impollinazione da parte degli insetti agli alberi che germogliano sempre prima, in primavera, fino agli uccelli marini che finiscono nei fari e in generale quelli migratori che hanno problemi a orientarsi o le piccole tartarughe marine che, ingannate dall’illuminazione dei maxiresort, si avventurano appena nate oltre le spiagge e verso i centri abitati scambiando quei segnali per il bagliore della Luna sul mare. E ancora: gli anfibi che tendono a nutrirsi un’ora dopo il tramonto, e che con l’intensa illuminazione si mettono invece a caccia due ore dopo finendo col cibarsi di meno e influenzando la riproduzione, o i piccoli crostacei di mare, la cui attività viene sconvolta passando per mammiferi notturni, pipistrelli, uccelli, roditori. Di casi ne vengono esaminati decine, anche in base alla valutazione di 126 studi già pubblicati, fino a evidenziare un impatto finora sottovalutato ma già estremamente pericoloso. I fotoni, insomma, andrebbero considerati in certi casi come veri e proprio agenti inquinanti.
Ad esempio, fra tutte le specie animali esaminate sono stati rilevati livelli ridotti di melatonina, l’ormone che fra le altre cose coordina e orchestra il ciclo circadiano, quello del passaggio fra veglia e sonno. E anche le ricadute sull’essere umano cominciano a essere indagate, ad esempio nell’insorgenza di alcuni tipi di cancro legati proprio all’alterazione della melatonina. Si tratterebbe appunto di un frutto amaro dell’illuminazione artificiale, che è un’alterazione molto profonda dell’ambiente forse percepita come meno dannosa semplicemente perché non consiste nel respirare o ingerire elementi o particelle potenzialmente patogene. Già un’indagine di quattro anni fa aveva stimato che l’80% della popolazione mondiale, 99% considerando solo Europa e Stati Uniti, vive sotto un cielo inquinato da punto di vista della luminosità. I problemi maggiori derivano dalle fonti artificiali che si spingono a illuminare sopra la linea dell’orizzonte, in un tripudio di fonti che spesso colonizza superfici e aree dove non serve. A volte anche in base a una concezione non proprio lineare di sicurezza, per esempio nei centri urbani.
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In realtà si è osservato anche qualche effetto positivo, per esempio per certe specie di piante che sono cresciute più rapidamente e altri tipi di pipistrelli. Ma nel complesso le conseguenze di illuminare troppo, dove non serve, magari per tutta la notte senza alcun senso, così come le emissioni blu dello spettro, sono distruttive: “Quel che comincia a venire fuori è quanto pervasivi siano gli effetti – spiega al Guardian Kevin Gaston, docente all’Istituto per l’ambiente e la sostenibilità dell’ateneo britannico e principale autore del paper – abbiamo bisogno di iniziare a pensare all’illuminazione nel modo in cui pensiamo ad altre grandi pressioni sistemiche come il cambiamento climatico”. Basta d’altronde osservare qualche foto satellitare della Terra, anche scattata dagli astronauti a bordo della Stazione spaziale internazionale come quelle utilizzate in questo articolo del progetto Nasa “Visible Earth“, per rendersi conto di quanto il problema si stia allargando geograficamente, con la sostituzione in massa delle vecchie lampadine con le più efficienti e meno dispendiose a Led, che emettono però una luce troppo bianca e dallo spettro più ampio, che somiglia di più a quella solare e crea quindi più scompensi di prima.
Roma di notte
Come con i prodotti di plastica, con il riscaldamento, con i carburanti o con altri mille aspetti che impattano sull’ambiente, “anche con la luminosità dovremmo pensare in termini di uso solo quando ne abbiamo bisogno, dove ci serve e nel modo che ci serve. L’abilità di trasformare la notte in qualcosa di simile al giorno è qualcosa che abbiamo perseguito oltre ogni bisogno”, anche volendo tenere in considerazione quelli ancestrali che legano all’oscurità insicurezza e timore.