«Dopo 36 anni trascorsi a parlare di auto in televisione sto mollando, sono troppo vecchio e ingombrante per salire sulle auto che mi piacciono e non ho voglia di guidare quelle che non mi piacciono». È il lungo, a tratti accorato, epitaffio che Jeremy Clarkson scrive, dalle colonne del Times, in occasione di The Grand Tour One For The Road, l’ultimo episodio della serie per Amazon Prime Video nonché l’addio alle scene del terzetto composto 22 anni fa con i colleghi James May e Richard Hammond.
Perché lo Zimbabwe è l’ultima tappa
Esattamente come Hammond, che qualche giorno fa aveva dichiarato: «Volevamo concludere alla nostra maniera, avendo modo di scegliere luogo, momento e modo. Ed è proprio quello che abbiamo fatto», anche Jeremy Clarkson ha spiegato: «Dopo 22 anni la mia collaborazione con Richard Hammond e James May volge al termine. […] Ciò che rende felici tutti e tre però è il modo in cui l’abbiamo conclusa: siamo atterrati sani e salvi, e anche delicatamente, sulle saline del Botswana, finendo così dove avevamo iniziato».
«Abbiamo riflettuto a lungo su quale potesse e dovesse essere la conclusione di un rapporto lungo 22 anni – scrive sempre Jeremy Clarkson -, e siamo finiti sull’ultima dell’alfabeto: Zimbabwe. Volevamo andarci da sempre, non avevamo però mai potuto perché per la BBC era ed è una zona vietata. Tutti e tre amiamo l’Africa».
Il primo incidente di Richard Hammond
Quindi il corpulento presentatore di Top Gear, la cui carriera pareva finita quando si fece cacciare dalla BBC per aver aggredito un membro della troupe del programma (vicenda che finì anche in tribunale per la richiesta di risarcimenti da parte della vittima), ripercorre a modo suo la ventennale carriera che ha portato la trasmissione britannica a infrangere ogni record di ascolto, nazionale e poi mondiale: «All’aeroporto di Elvington nello Yorkshire, Richard iniziò un nuovo hobby: andare a testa in giù mentre a velocità estremamente elevate. […] Tantissima gente iniziò a guardare lo show, e in molti finirono per apprezzare il nostro rifiuto verso il politically correct. […] Dietro la cattiveria da scolaretto, comunque, era un programma molto ben fatto».
Quanto alla decisione di essere sempre in tre, scrive: «È il numero perfetto, perché due possono sempre coalizzarsi contro il terzo». Il trio, inizialmente composto da Clarkson, Hammond e Jason Dawe, non faceva però scintille e così si optò per richiamare James May, co conduttore della primissima stagione: «si rivelò la scelta giusta», ricorda Jeremy.
La cacciata di Jeremy Clarkson dalla BBC
Il giornalista automobilistico torna anche sull’aggressione che gli è costata il posto nella tv pubblica britannica, costringendo di fatto James May e Richard Hammond a lasciare Top Gear per seguirlo su Amazon: «Lo spettacolo era entrato nel Guinness dei primati come il programma più popolare al mondo e avevamo anche lo spettacolo Top Gear Live. Quindi pianificavo lo spettacolo televisivo il lunedì, lo scrivevo il martedì, lo registravo il mercoledì e poi ero sul palco il giovedì sera a Johannesburg. O Oslo. O Budapest. Sono diventato frenetico, posseduto e arrabbiato e sono stato licenziato».
Quanto The Grand Tour, Jeremy Clarkson ammette che nel frattempo il mondo era cambiato, ma questo non ha mai snaturato le battute del terzetto: «Il politicamente corretto ora era chiamato “wokery” ed era organizzato: enormi “bande di predoni” pattugliavano Internet in attesa di piombare su chiunque si rifiutasse di sottoscrivere la loro dottrina. In passato potevi essere licenziato. Ora potevi essere cancellato. Così abbiamo riposto la tenda che era diventata la nostra nuova casa e siamo tornati a fare ciò che ci piaceva di più: acquistare tre vecchie auto orribili e vedere se potevamo guidarle su terreni raccapriccianti verso un posto idiota».
«Non avrei mai pensato di poter avere un lavoro che mi avrebbe permesso di fare cose del genere. Non c’era un lavoro che mi permettesse di fare cose del genere. L’abbiamo inventato noi. E spero che chiunque ci sostituisca si renda conto che, anche se si ammaleranno di diverse malattie, saranno arrestati e malmenati fino a diventare solo un livido ambulante, sono i più fortunati sulla terra».
Gli mancheranno i suoi due storici compagni di scorribande? «Non proprio. Posso vederli quando voglio. Ma ciò che mi mancherà è l’emozione di strisciare in una città come Harare o La Paz o Hanoi alle tre del mattino in un’auto senza fari, con una marcia e solo tre ruote. Mi mancherà tutto questo».
I tre protagonisti di Top Gear prima e di The Grand Tour da 8 anni a questa parte lo scorso luglio hanno messo in liquidazione la W. Chump and Sons, la società che produceva gli show di Jeremy Clarkson, Richard Hammond e James May di proprietà degli stessi presentatori britannici (W. Chump altri non è che un acronimo: Wilman, Clarkson, Hammond und May Production).
Questo significa che, salvo improbabili colpi di scena, il 13 settembre andrà in onda l’ultimo inedito che li ha visti ancora una volta assieme su schermo a bordo di vecchie glorie del passato. One For The Road rappresenterà la sortita finale dei moschettieri meno politicamente corretti mai apparsi in televisione (o sul web, in streaming). Una sortita nel cuore dell’Africa a bordo di tre vetture d’eccezione: una Lancia Montecarlo, una Ford Capri e una Triumph Stag.
Cosa aspettarsi da One For The Road
Per Wilman i tre ‘wise men’ del mondo a quattro ruote hanno confezionato un episodio molto diverso dal solito special in giro per il mondo: «Sanno che questa è l’ultima volta che facciamo questo, quello e quell’altro. Penso che si dicano addio meglio di quanto possano fare i presentatori… perché sono così uniti, tutto ciò lo trovo abbastanza commovente senza bisogno di chissà quali discorsoni».