Sviluppato da una sola persona che finora ha trattato videogiochi molto differenti, quest’opera si mette in scia all’illustre Breath of the Wild di Nintendo, ma non tutto è andato per il verso giusto
Pochi giorni prima del Tokyo Game Show 2022, Nintendo, in una sua direct online, ha svelato nome e data d’uscita dell’attesissimo seguito di Breath of the Wild. Si chiamerà The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom e uscirà il 12 maggio 2023. Se, come noi, non avete idea di come diavolo riuscire ad aspettare ancora così a lungo, potreste trovare nel titolo della startup spagnola Rainy Night Creations un gustoso antipasto, dato che è un videogioco che non fa certo mistero di ispirarsi alle ambientazioni e al gameplay dell’ultimo capitolo della saga Nintendo disponibile per Wii U e Switch.
Abbiamo insomma per le mani l’ennesimo Zelda game prodotto da una startup videoludica. Soltanto negli ultimi due anni, su queste pagine, sono passati almeno una ventina di titoli sviluppati da software house indipendenti che hanno tentato di rivaleggiare con il capolavoro Nintendo e i risultati sono stati altalenanti. L’ultimo recensito, in ordine di tempo, è stato Xel, sviluppato dalla software house tedesca Tiny Roar, fondata nel 2015, mentre qualche mese prima era arrivato Anuchard, partorito dalla startup indonesiana stellar-Ø o stellarNull che aveva a sua volta preceduto di qualche settimana Ocean’s Heart firmato Nordcurrent e che, dei titoli citati finora, è sicuramente il più affine a Blossom Tales II The Minotaur Prince.
Final Sword Definitive Edition (qui la nostra recensione) da Zelda aveva perfino preso le musiche, tanto che ha dovuto sostituirle in fretta è furia per non incorrere in seri guai legali. Resta comunque un dolore atroce, tanto alla vista, quanto per il nostro ego videoludico. Stategli lontano. È andata meglio a Oceanhorn 2 (qui la nostra recensione), che ha deciso di scopiazzare un capitolo in particolare, almeno per lo stile grafico, cioé Skyward Sword (che nel frattempo è arrivato su Switch, come The Legend of Zelda Skyward Sword HD ). Non male, ma il titolo originale resta su altri livelli. Rogue Heroes: Ruins of Tasos (qui la recensione) si è invece ispirato allo spin-off multiplayer Zelda: Four Swords Adventures, ma è sicuramente andata meglio a Ary and the Secret of Seasons (lo abbiamo testato qui) che, nonostante i limiti, ha saputo divertirci.
Bocciato su tutta la linea, invece, il noiosissimo Windbound (lo abbiamo recensito qui). Pure diversi team italiani si sono cimentati nell’impresa: da un lato abbiamo Baldo: The Guardian Owls (qui la recensione), che non si è rivelato proprio all’altezza delle aspettative, ma è senz’altro tra i cloni che sono riusciti a distinguersi, dall’altro Racoonie (qui l’anteprima), un titolo tuttora in via di sviluppo che speriamo possa far parlare bene di sé.
Innocence Island, errori innocenti?
E veniamo a Innocence Island, terzo gioco di una software house indipendente che si compone di un unico sviluppatore che, a quanto pare, ama sperimentare, visto che il titolo di debutto, Vaccine, era un prodotto simile ai vecchi Resident Evil e Alone in the Dark, il secondo, Freeze, un platform 3D sulla falsariga di Super Mario 64 e Banjo Kazooie mentre questo… be’, pesca a piene mani dall’immaginario di Breath of the Wild, uno dei migliori titoli degli ultimi anni. La domanda però sorge spontanea: come sarebbe stato l’ultimo Zelda se fosse stato sviluppato da un’unica persona? Innocence Island è la miglior risposta: a livello contenutistico la produzione spagnola è parecchio vasta: zeppa di cose da fare e oggetti da raccogliere.
Tuttavia si schianta con una realizzazione tecnica che mostra tutti i limiti di un lavoro realizzato da un’unica persona, che ha provato a mettersi per di più nella scia di un capolavoro, un gioco immenso che offriva al giocatore totale libertà d’azione. Innocence Island non riesce a fare altrettanto, e nessuno avrebbe mai potuto credere il contrario (non per sfiducia, ma per la differenza di budget e risorse umane a disposizione della software house madrilena) ma consente comunque di esplorare ambienti assai vasti e di perdere parecchio tempo con attività collaterali, come la raccolta di materie prime, la cucina o la pesca. Una maschera che viene consegnata a inizio gioco elimina i combattimenti coi nemici che vengono fuori nottetempo, così da ingentilire l’esperienza ludica per i neofiti.
Che si combatta o si scelga la via della diplomazia, tutti, fin dai primi istanti, si ritroveranno a che fare con la farraginosità di un sistema di controllo lento e macchinoso, ulteriormente appesantito dalle scarne animazioni del proprio alter ego virtuale. Ogni singola azione è un piccolo supplizio, figurarsi cosa possa voler dire compiere quelle più delicate, come spostarsi lungo il ciglio di un precipizio o combattere.
In più, specie su Switch, la grafica è così spartana e i colori così piatti che non è nemmeno possibile comprendere in quali spazi ci si muove, in particolar modo se si gioca in portabilità. Non si contano le volte in cui siamo precipitati in un burrone che fino all’ultimo pareva solida roccia o siamo annegati perché la telecamera, andando al di là dei muri invisibili che delimitano la mappa, fa assumere all’intero ambiente uno strano aspetto distorto e bluastro, come se stessimo guardando il protagonista attraverso uno oblò, rendendo ogni cosa ancor di più difficile comprensione. I muri invisibili, poi, non hanno molto senso: vengono posti nelle immediate vicinanze del molo in cui ha inizio il gioco per far sì che non si finisca inavvertitamente a bagno, dato che il protagonista affonda come un sasso, ma poi ci sono chilometri di costa incustoditi dove si potrà morire non appena l’acqua arriva al petto del nostro eroe…
Con ogni probabilità, nel corso delle prossime settimane nuove patch saneranno (speriamo) la maggior parte dei difetti che abbiamo riscontrato durante la nostra prova, migliorando sensibilmente – o forse enormemente – l’esperienza provata mentre si gioca a Innocence Island. Ce l’auguriamo di cuore, perché è un titolo a suo modo colossale e intrigante ed è davvero un peccato che al momento non si abbia voglia di esplorare ambientazioni ricche di posti da visitare (ci sono rovine da scalare, dungeon nei quali inoltrarsi) perché i controlli mandano in manicomio e la grafica è così impastata da nasconderci l’ennesimo ruscello mortale che taglia in due un campo.
Nel frattempo è però difficile consigliare Innocence Island a tutti. Occorre indubbiamente aver parecchia pazienza per non scagliare la Switch dalla finestra dopo l’ennesima morte improvvisa imputabile all’illeggibilità dell’ambientazione o a controlli che rispondono con ritardo e pressappochismo. Chi riuscirà ad andare oltre questi difetti, tuttavia, potrà provare un’avventura stile Zelda che sa offrire anche alcuni frangenti particolarmente emozionanti. Only the brave…