Elisa Farinetti è la cofounder della software house Broken Arms Games di Acqui Terme
«Hundred Days non è un videogioco di promozione turistica. Ma questo, ci tengo a precisarlo, non significa che non ci piaccia vivere e lavorare qui: dopotutto, è stata una nostra scelta». Il qui è Acqui Terme, nel basso Piemonte, in mezzo ai vigneti. Su StartupItalia, lo avrete notato, ci piace dare spazio alle voci degli sviluppatori e di chi lavora nell’ambito gaming. Elisa Farinetti, cofounder della software house italiana indie Broken Arms Games, ci ha raccontato la storia della sua startup e il percorso di sviluppo e rilascio del loro ultimo titolo: Hundred Days. Lanciato nel 2021 su PC, è da oggi disponibile anche su Nintendo Switch. Si tratta di un simulatore e gestionale verticale sulla produzione dei vini, una novità in un genere videoludico che ha un suo zoccolo duro. «Il mio socio, Yves Hohler, è un enotecnico e ha studiato enologia nella scuola di Alba». I due in realtà si sono conosciuti sui banchi, frequentando informatica all’Università del Piemonte Orientale. Sono partiti nel 2012 con i primi prototipi su mobile. Questa è la loro storia.
Le origini
Come ci ha raccontato Elisa, Broken Arms Games è una software house che ha due date di nascita. Quella «unofficial» risale ai periodi del 2012, come dicevamo, quando i due soci hanno trovato una strada comune su cui sperimentare. I videogiochi su mobile diventano il loro primo terreno di confronto con l’ecosistema gaming. «Siamo stati anche un anno in Australia dentro a un acceleratore». Poi, tra 2017 e 2018, una prima svolta che riconosce gli sforzi della casa di sviluppo. «In quel periodo abbiamo iniziato una collaborazione importante con Milestone (tra le più importanti software house in Italia, ndr). In pratica ne siamo diventati il dipartimento mobile: ne prendevamo le IP per traslarle su mobile».
Sono Supercross, MyRIDE Challenge e MXGP. Titoli a due ruote che noi italiani sappiamo fare in maniera più che discreta. «Ringrazieremo per sempre Milestone per aver creduto in noi», ha aggiunto la cofounder. Per la software house la partnership è stata sì un’occasione di crescita, ma ha anche permesso di tenere in piedi le attività, rendendole sostenibili dal punto di vista economico. Nel frattempo uscivano anche alcuni titoli originali di Broken Arms Games come Atomine. E poi, di nuovo, una svolta.
Hundred Days: una novità nel settore
«Nel 2018, parlando con un’esperta del settore, ci viene detto che di tutti i videogiochi gestionali presenti sul mercato non ce n’era nessuno verticale sul mondo del vino». Così Elisa e Yves iniziano a lavorarci nel tempo libero, come vuole l’aneddotica dei progetti andati a buon fine. «Fino ad allora c’era sempre piaciuto collaborare con grosse realtà e, ripeto, ci reputiamo molto fortunati. Al tempo stesso, però, cercavamo di capire come affrancarci». Hundred Days ha offerto l’occasione per voltare pagina.
Il gameplay e la grafica
Hundred Days offre la possibilità di godersi un gameplay in modalità storia. Non ci sono titoli di coda da raggiungere e neppure obiettivi finali da completare. «Su questo abbiamo lasciato libera scelta al gamer: può mettere in piedi un’industria o dirigere una micro cantina da 10mila bottiglie l’anno». A questo punto della conversazione, è emerso un dato interessante che ha inquadrato la software house indie come un’azienda sì legata al territorio, ma con uno sguardo imprenditoriale basato sui dati e sulla conoscenza del mercato videoludico (e non solo). La grafica – eccelsa – è stata realizzata da due art director francesi.
«Abbiamo cercato uno stile che ricordasse il mondo francese – ci ha detto Elisa -. A livello internazionale l’ideale del prototipo di azienda vitivinicola è ancora francese. Le cantine di Hundred Days non richiamano certo il contesto piemontese. Del resto la cultura della nostra terra deriva dagli enologi d’Oltralpe portati qui da Cavour». Tutto questo si collega poi con i target country del videogioco. «Ad oggi abbiamo venduto 40mila pezzi. Soprattutto in America, Cina e Germania. Purtroppo l’Italia non credo sia nemmeno nella top 20. Questo anche perché da noi si vendono davvero pochi indie».
Con la massima libertà di dare il ritmo alle giornate – il gameplay è strutturato a turni, giorno dopo giorno – Hundred Days ha inserito la meccanica delle carte da giocare per costruirsi la propria azienda vitivinicola come pezzi del Tetris in un territorio limitato. Tutto cadenzato dai ritmi delle stagioni e con gli inevitabili imprevisti di macchinari che si guastano. Il titolo, proprio per le ragioni poco sopra elencate, è disponibile soltanto in inglese. «Siamo consapevoli di non essere stati forti sul tutorial – ha commentato Elisa -. Va detto che richiede un effort devastante».
Avendoci giocato possiamo dire che Hundred Days non è un videogioco mordi e fuggi e non restituirebbe nessun tipo di gratificazione prendendolo ogni tanto e lasciandolo poi lì per mesi. «I nostri target sono i millennial e le donne. Ma anche i gamer che hanno 50 e 60 anni: hanno tempo e risorse da dedicare alla tecnologia e al divertimento in console». Procedere in questo gestionale richiede pazienza, approfondimento e lettura delle schede. L’azienda ha investito in tutto 450mila euro sul progetto (in parte i fondi sono arrivati da Google Stadia, Epic Games e, per la versione mobile, anche da ByteDance). «Dal day one abbiamo iniziato già a guadagnarci».
A ognuno la sua formula
Per tirare le somme, Hundred Days e la sua software house Broken Arms Games fanno parte a pieno dell’ecosistema gaming italiano e hanno scelto di viverlo restando sul territorio. Per nulla scontato vista l’evidente attrazione che generano città come Milano per chi fa impresa. «Tra pochi giorni andremo a San Francisco e proporremo nuovi prodotti. È una formula che, almeno per noi, sta funzionando. Non sono certa che possa valere per tutti. Di solito è il consiglio che do: guardate gli altri e poi trovate la vostra formula».