Tra i videogiochi più attesi dell’anno, l’esclusiva PlayStation non rivoluziona certo i canoni della saga, ma porta in dote il suo carico di certezze
Anche un dio come Kratos può avere grosse difficoltà a superare un inverno lungo e rigido, ma non perché ha problemi pure lui con le forniture di gas, come noi comuni mortali. Su Midgard, dove da tempo prova a condurre una vita famigliare normale e tranquilla, lontana dalla violenza dell’epopea ellenica, si è infatti abbattuto il gelido Fimbulwinter che, oltre ad aver trasformato parecchio paesaggi e scorci che vi dovrebbero essere ben noti, sta mettendo a dura prova la sopravvivenza del nostro eroe e di suo figlio Atreus, alle prese non solo con un gelo inusuale, ma anche con infiniti allenamenti, nella consapevolezza che la lotta col pantheon norreno è solo agli inizi. God of War Ragnarök è infatti, come ci si aspettava, un capitolo strettamente imparentato col predecessore, fortemente interconnesso con un canovaccio rimasto insoluto, tant’è che inizia in media res, come dicono i più colti, ovvero con i nostri due intenti a scappare, a bordo di una slitta trainata da lupi, da Freya che ancora non perdona a Kratos e Atreus l’uccisione del figlio Baldur.
God of War Ragnarök, la recensione
E qui chi non ha giocato al predecessore probabilmente inizierà a subodorare che gli mancano parecchi appigli per capire come mai la dea Vanir, precedentemente a capo delle Valchirie, nonché ex moglie di Odino, ce l’abbia a morte con Kratos e Atreus. In realtà, prima di iniziare l’avventura, dal menu principale è possibile accedere a comodi “riassunti delle puntate precedenti” mentre dal menu di pausa si arriva a schermate che riepilogano cenni biografici sui personaggi incontrati fino a quel momento, ma è innegabile che God of War Ragnarök sia un’opera pensata anzitutto per essere fruita da chi conosce gli antefatti.
In viaggio con papà Kratos
Tutti gli altri, per esempio, faticheranno a comprendere le insistenze di Kratos, ribadite fino alla nausea, affinché suo figlio non si metta nei guai e non provi a far scoppiare un altro conflitto tra dei: con ogni probabilità interpreteranno l’atteggiamento della divinità ellenica come ossessiva e perfino stereotipata, finalizzata esclusivamente alla necessità di ribadire che tra i due c’è un vincolo di parentela, mentre chi accompagna il dio della guerra fin dagli esordi sa bene quanti lutti abbiano costellato la strada che lo ha portato nel profondo nord e quanto sia cambiato dopo che è diventato padre. Ma, soprattutto, chi ha giocato al predecessore sa bene che Kratos e Atreus sono sull’orlo di una guerra con Thor, impossibile da evitare, nonostante le insistenze del nostro nerboruto eroe ellenico.
E di fatti di lì a breve inizieranno le peregrinazioni dei due (anzi, dei tre, perché appesa alla cintola di Kratos ciondola come un portachiavi la capoccia cornuta di Mimir) che li porteranno a visitare nove regni, tanto belli quanto impronunciabili. Si parte da Migdard, dove ormai Kratos dimora, per raggiungere dopo un paio d’ore Svartalfheim, la brulla e sulfurea regione abitata dai nani, proseguendo poi con Muspelheim, patria di Surtr l’Intrepido, il gigante del fuoco e dei suoi seguaci (secondo la profezia, durante il Ragnarök Surtr condurrà i giganti del fuoco ad Asgard e lo raderanno al suolo). Tutti viaggi dettati dalla disperazione, alla costante ricerca di alleati, anche se di fatto Kratos e Atreus restano soli.
Per questo dovranno imparare a fare affidamento solo su loro stessi, a contare l’uno sull’altro e, specialmente Kratos, dovrà riuscire a fidarsi di suo figlio, rendersi conto che è cresciuto e ha un destino imponente già scritto davanti a lui: col Fimbulwinter che sta devastando i nove regni, Atreus più che un padre protettivo necessita di un maestro d’armi che lo aiuti a diventare uomo. Tutto questo viene sottolineato da cinematiche di gran qualità, spesso interattive (bisogna premere velocemente qualche tasto del pad), in genere molto lunghe, cariche di dettagli e pathos (il primo scontro tra Kratos e Thor lascia a bocca aperta).
Le novità di God of War Ragnarök
Dal punto di vista ludico, God of War Ragnarök resta fedele a se stesso proponendo il solito incedere: livelli che, per quanto d’ampio respiro, sono in realtà lunghi corridoi che congiungono tante stanze zeppe di enigmi e di mostri. Inutile dire che, per procedere, dovrete necessariamente superare i primi e fare a brandelli i secondi. E qui probabilmente troviamo l’elemento meno convincente della produzione realizzata dai ragazzi di Santa Monica Studio, colpevoli di non aver apportato reali innovazioni all’economia di gioco.
Per esempio, non si capisce perché non sia possibile abbandonare un’area finché non sono morti tutti gli avversari, tanto più se è possibile superarli con facilità (non brillano per intelligenza: è pure facile bersagliarli da lontano, se si trova una sporgenza rialzata). Fare piazza pulita in ogni zona è spesso inutile e pleonastico, specie quando l’energia è agli sgoccioli. E capita spesso di ritrovarsi malconci, sia perché gli avversari tendono a soverchiare e a fare già parecchi danni già a difficoltà normale, sia perché la visuale, eccessivamente ravvicinata alle spalle di Kratos, impedisce di vederli col giusto anticipo mentre a poco servono le indicazioni di Mimir e di Atreus (“a sinistra”, “a destra”) dato che, nella foga dello scontro, è fin troppo facile perdere le coordinate (e perdere alcuni istanti preziosi chiedendosi se intendano alla loro destra o alla nostra?). In più, alla lunga annoia la routine: attraversa un corridoio, arriva a una stanza che sembra vuota, appaiono i nemici, falli fuori tutti e risolvi l’enigma che fa da dorsale all’intero impianto ludico.
A proposito degli enigmi, benché non ci si aspettasse nulla di più da un hack’n’slash 3D, sono sempre elementari e non richiedono mai di spremersi le meningi: in genere è sufficiente spostare un oggetto o mirare a qualcosa che solo in apparenza fa parte dello scenario (aguzzando la vista è possibile notare riusciti particolari che tendono a farvi cascare l’occhio, come animali che si rincorrono e svolazzano nelle circostanze e, se non fossero sufficienti, dopo un po’ sarà lo stesso Atreus a indicarveli), sovente chiamano in gioco le proprietà delle armi (per esempio nei frangenti nei quali occorre ghiacciare il Leviatano per congelare i geyser o usare le Lame del Caos come rampino), mentre il più delle volte basta proseguire lungo il ‘corridoio’ per arrivare all’oggetto risolutivo.
Il più grande limite di questa esclusiva Sony, difatti, è che sebbene voglia continuamente sorprendere il giocatore con ambientazioni enormi, d’ampissimo respiro, la strada da percorrere sia solo e soltanto una e non sia mai possibile andare oltre il seminato, perché i muri invisibili sono ovunque. Tornano i rilassanti viaggi su canoa, unica variante sul tema (assieme alle corse sulla slitta) ma anche qui i posti d’approdo sono severamente scriptati. Per il resto, come nei vecchi Prince of Persia 3D di Ubisoft, ci si può arrampicare esclusivamente sui muri indicati dagli sviluppatori (caratterizzati da rune colorate) e in più di un’occasione si ha la fastidiosa sensazione di muoversi lungo binari invisibili.
Naturalmente, si tratta di difetti marginali: hanno ragione i ragazzi di Santa Monica Studio ad applicare il detto “formula che vince non si cambia”, ma c’è pure da considerare che ciò che andava bene e sorprendeva nel 2018, anno d’uscita del predecessore, difficilmente riesce a stupire a fine 2022 e, per l’approdo della serie su PlayStation 5 era lecito attendersi un po’ di novità in più, a iniziare magari dall’introduzione di un open world che desse un senso alle fasi esplorative.
L’impressione generale è che God of War Ragnarök non voglia sovvertire i canoni della serie, limitandosi piuttosto a insistere su ciò che l’ha caratterizzata finora. E i fan storici indubbiamente non potranno lamentarsi. Come il capitolo precedente, l’intento è quello di fondere una sequenza infinita di combattimenti violentissimi con un alto numero di sequenze cinematografiche che esploreranno l’intimità dei personaggi, a iniziare dai due protagonisti (è perfino possibile impostare la difficoltà in modo tale da godersi esclusivamente le sequenze di intermezzo). I colpi di scena non mancano e, visto su PlayStation 5, God of War Ragnarök lascia davvero di stucco.
A proposito delle specifiche della versione PS5, Santa Monica Studio ha sfruttato pienamente il feedback aptico del controller wireless DualSense: pensando al suo riuscito tremolio si capisce perché la sequenza della slitta sia stata posta a inizio gioco, proprio per svelare immediatamente ai giocatori che le novità, se non sono tante sul fronte gameplay, sono comunque sostanziose sotto il profilo ludico. Sempre il DualSense consente di avvertire la possanza di Kratos nei combattimenti e la pesantezza della sua ascia, il Leviatano, tutte le volte che viene scagliato per poi tornare indietro come un boomerang. Il risultato è un titolo che, pur restando circoscritto nei suoi confini (e nei tanti muri invisibili) regala soprattutto certezze e conferme, ponendosi tra le migliori produzioni dell’anno. Per il prossimo capitolo, only PS5, però, bisognerà battere altre strade.