Il founder e Ceo di Tango Gameworks dimostra che si può spaventare anche senza zombie
Di mezzo c’è lui, Shinji Mikami, autorevole regista della saga di Resident Evil, almeno finché non ha preso baracca e burattini-zombie per fondare la sua startup videoludica: Tango Gameworks. Di mezzo c’è pure una città rimasta sospesa in una calma irreale, invasa da qualcosa di incomprensibile e tremendo intenzionato a non dare tregua agli ultimi sopravvissuti. Di mezzo, però, non ci sono i morti viventi. Gli orrori di Ghostwire: Tokyo sono tutti molto più… nipponici.
Perché Ghostwire: Tokyo non può non piacere
Attendevamo con malcelata ansia Ghostwire: Tokyo perché catalizza, in un unico videogame (per PlayStation 5 o PC), le nostre più grandi passioni, vale a dire il Giappone e gli horror. E l’attesa è stata ripagata perché, sebbene qua e là un po’ grezzo e un po’ ruvido, l’ultima fatica dei creatori di The Evil Within ti resta dentro, senza per questo strafare sul fronte dello splatter.
La punta di diamante della produzione firmata Tango Gameworks (che ha già annunciato che il suo prossimo gioco non sarà un horror e ha pure iniziato ad assumere neolaureati) è senz’altro la caratterizzazione di personaggi e mostri che costellano l’avventura.
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In Ghostwire: Tokyo, la megalopoli da trenta milioni di abitanti è stata completamente svuotata da un miasma tossico che continua ad avvolgerla, soffocandola. Ora appare ibernata, in balia di forze letali non appartenenti a questo mondo, i Visitatori, guidate dalla misteriosa Hannya (Han’nya è una popolare maschera giapponese usata nel teatro nō, che rappresenta un demone femminile geloso).
Di fatto, la capitale del Giappone è stata invasa da Yōkai di ogni tipo: spiriti, spiritelli e demoni enormi e malmostosi. Sulla base di queste premesse è stato costruito un FPS spiritico, in cui pistole e fucili a pompa sono stati sostituiti dalle abilità del protagonista nel padroneggiare le arti mistiche della Tessitura eterea.
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Questo non significa che avremo munizioni illimitate: tutt’altro, in più occasioni sarà necessario affidarsi allo stealth per ricaricarsi, ma i combattimenti e l’esplorazione dell’area urbana restano cruciali per la crescita del protagonista, che avrà un albero delle abilità da ‘scalare’ sbloccando poteri che lo renderanno un inarrestabile cacciatore di demoni.
Fine della recensione di Ghostwire: Tokyo
L’esplorazione della città è centrale, nell’economia di Ghostwire: Tokyo, ma questo non significa che la mappa sia immane. In un periodo in cui i giochi fanno a gara a presentare mappe sempre più grandi, a discapito dell’effettivo piacere che prova il giocatore nell’esplorarle (se sono vuote, difficile che attirino), il team di Shinji Mikami ha fatto la scelta opposta, presentando una Tokyo molto più raccolta, che andrà oltretutto esplorata pezzetto dopo pezzetto, per gradi, visto che interi quartieri sono ancora soffocati dai miasmi tossici e per procedere sarà prima necessario purificare il Torii (il caratteristico portale che precede l’accesso ai templi shintoisti) corrispondente.
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Fatto ciò, ci si muoverà nella sezione successiva, alla ricerca di negozietti (i combini sono gestiti da yokai dalle fattezze di felini) in cui potenziare il proprio inventario e di collezionabili, lungo stage che alternano con gusto l’orizzontalità con la verticalità (Tokyo, del resto, è piena di grattacieli…).
I limiti, soprattutto di budget, si vedono e vanno oltre una mappa che, per quanto ridotta, ospita comunque tutti i principali luoghi di interesse di Tokyo estendendosi anche a un gameplay non sempre ricercato e in alcuni passaggi a livello di sinossi che sembrano essere stati messi lì per allungare il brodo, aumentando di botto il livello di sfida.
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Ma Ghostwire: Tokyo resta comunque un prodotto affascinante e carismatico, giapponese fino al midollo e quindi eccessivo, a tratti delirante, capace di alternare con disinvoltura battute di spirito a eventi molto drammatici. La caratterizzazione dei mostri, inquietanti e sopra le righe stile bambina indemoniata di The Ring, fa il resto, permettendo al giocatore di scontrarsi con un buon parterre di esseri sovrannaturali che richiedono sempre una strategia differente.
Insomma, per concludere questa recensione di Ghostwire: Tokyo, dobbiamo ammettere che l’ultima fatica di Shinji Mikami è stata all’altezza delle aspettative nutrite fin dal primo annuncio. Certo, Tokyo sarebbe potuta essere più grande, la curva di difficoltà meglio bilanciata (potenziando il nostro eroe, sarà difficile cadere in battaglia) e qua e là diverse magagne tecniche fanno il paio con una grafica che non sembra nativa su PlayStation 5…
Ma, in compenso l’atmosfera, data dalla cura con cui vengono proposte le leggende che compongono il folklore nipponico, dall‘eleganza delle mosse fatte dal protagonista nei combattimenti e dalla caratterizzazione degli yokai con cui dovrete confrontarvi, rende questo titolo unico nel suo genere ed estremamente godibile.