Per legge non possono essere chiamati formaggi se non hanno del latte di origine animale, ma quelli vegani sono ormai prodotti così raffinati da poter competere ad armi pari, muffe comprese. Ci spiega perché Daniela Cicioni
Tra le parole che danno forma all’innovazione food c’è vegan, un concetto che si applica a qualunque cosa, formaggi compresi. Nel corso degli anni questi prodotti hanno raggiunto un grado di sofisticazione sempre crescente, arrivando a impiegare ingredienti come anacardi, farine di mais e ceci, soia. I risultati? Sorprendenti.
Daniela Cicioni è la chef che sta dando uno dei contributi più interessanti alla materia. Lavora in Italia, ma fuori dalle cucine di ristorante. Perché la scienza crudista e vegana ha bisogno di tempo, tentativi e ricerca.
In principio era il semplice tofu. Oggi i vegani (o anche i semplici onnivori appassionati) possono scegliere tra un ampio ventaglio di possibilità: dai cremosi alle mozzarelle di riso, passando per creative stagionature.
Perché i formaggi vegani non si chiamano formaggi
Iniziamo col fare una precisazione. I formaggi vegani non possono essere chiamati formaggi. “La motivazione – spiega Cecioni – è che secondo la legge il termine formaggio fa riferimento a un prodotto con ingrediente a base di latte di origine animale”. Teoricamente, anche l’espressione “latte di soia” è sbagliata.
Tuttavia secondo la chef si tratta di una forzatura. “Quando si parla di formaggi nei dizionari non si fa riferimento al latte animale, ma a comporre il significato della parola è il procedimento utilizzato, il mettere in forma, ma senza specificare cosa. Nella tradizione si usa il latte, ma la parola in sé non ha un riferimento diretto a questa materia prima di origine animale”.
Perché dunque questa barriera linguistica? Semplice, “si tratta di spinte molto evidenti, che mirano a proteggere un certo tipo di mercato”.
Così Cicioni ha chiamato i suoi formaggi vegani fermentini, “perché seguono il procedimento della creazione del formaggio. Volevo un nome che giocasse con questa parola, ma che non la utilizzasse”.
Daniela Cicioni, la chef-ricercatrice
Daniela Cicioni si definisce una “cuoca senza ristorante”. Il suo lavoro è fare ricerca, consulenza e formazione. Ciò che ricerca nel piatto è il benessere, che va ricercato ad ogni costo e seguendo ogni strada.
Si appassiona alla cucina vegana una sera del 1999. Prossima alla laurea in Architettura, fu invitata a cena presso il ristorante – scuola di cucina naturale La Sana Gola, a Milano. L’esperienza vegan le scatenò dentro la voglia di saperne di più.
Si diploma come Cuoca Naturale nel 2008. Nel mentre lavorava anche come Architetto del Paesaggio fino al 2006, studiando il mondo vegetale in tutte le sue potenzialità.
Nel 2012 scopre la cucina crudista, primo trampolino verso i formaggi vegani. Dopo una breve parentesi nella ristorazione, lascia le cucine altrui e inizia a lavorare da sola. Nel 2014 approda a Identità Golose e svela al mondo i suoi fermentini.
I fermentini di Daniela Cicioni
La scoperta dei formaggi vegani ha tenuto Daniela Cicioni occupata per un po’. Ha iniziato a studiarli e ha scoperto che molti nascevano da una base di semi oleosi, come gli anacardi, e che subivano un processo fermentativo. “Mi chiedevo se fossero simili al tofu, che non è un prodotto molto esaltante”, ma la verità è che questo storico alimento orientale era solo uno dei punti di partenza per diventare “casara vegan”.
Per fare un fermentino bisogna partire dalla base: un buon frullatore. Cicioni predilige gli anacardi come materia prima. “Per avere la consistenza perfetta è necessario avere la strumentazione adatta per frullare i semi”. Anche con texture diverse il processo di fermentazione avviene lo stesso, ma con esiti differenti.
All’inizio Cicioni si era fermata alla versione fresca dei fermentini. Dopo aver lasciato il suo lavoro in cucina, ha iniziato a sperimentare versioni spalmabili e stagionate. Per ottenere formaggi vegani affettabili, basta essiccare i prodotti morbidi a 45°.
In questo modo si otterrà anche una bella crosta completamente edibile perché, non avendo latte di origine animale, sulla sua superficie non si crea alcuna muffa. “Su quella base lì, con la crosta asciutta, coprivo i fermentini e li lasciavo in frigo per alcune settimane o mesi. In quel tempo c’è un cambiamento di sapore impercettibile, provocato dalla naturale asciugatura dell’impasto”.
Muffe, perché no?
I fermentini di Daniela Cicioni cercano di riprodurre in chiave “dairy free” formaggi come il taleggio, il gorgonzola o il Camembert. La differenza la fa proprio quell’elemento che a molti fa storcere il naso: le muffe.
“L’effetto finale dei fermentini era dato dalle spezie e dalle erbe che aggiungevo dopo. Le ultime sperimentazioni che faccio da un paio d’anni si basano sull’aggiunta delle stesse identiche muffe presenti sui formaggi normali – spiega Cicioni –. Sono in forma liofilizzata e vengono mischiate all’impasto iniziale”.
Queste muffe vanno tenute a bagno, poi gli va aggiunto il fermento lattico e si lascia fermentare il tutto per un giorno. Una volta messo in forma il fermentino, si fa qualche passaggio in frigoriferi dalla temperatura distinta, per permettere alla massa di sviluppare ceppi batterici e garantire il giusto sviluppo.
“Non c’è bisogno di grandi investimenti – spiega Cicioni –. Tutti questi procedimenti si possono replicare anche a casa, anche con un frigobar, che lavorano a temperature più alte di un frigo normale, adatte a replicare il Camembert”.
I trend per i formaggi vegani
Se vi siete appassionati ai formaggi vegani tra gli chef da seguire consigliati da Daniela Cicioni c’è Emanuele Di Biase, che utilizza ceci per le sue creazioni.
In più c’è l’interessante realtà Vegan Delicious. Quest’azienda è nata all’interno di un capannone dove prima si facevano stagionare i salumi e i formaggi. Ora ci sostano prodotti completamente vegani, a base di legumi, patate e verdure.
“Essendo presenti lì ancora tutti i ceppi di batteri dei prodotti tradizionali, questi prodotti si portano dietro sapori molto particolari – spiega la chef – Nei loro preparati viene usato dell’olio vegetale, che fornisce la base grassa necessaria ai batteri per svilupparli”.