Viaggio tra le startup della drone economy, che in Italia vale 118 milioni di euro. E l’agritech è uno dei settori più esplorati: camere multispettrali e digital twin per crescere e risparmiare risorse preziose
Dopo aver terminato il viaggio tra le cosiddette startup for kids, quelle che si occupano della generazione Alpha e dei loro genitori, StartupItalia cambia distretto, sollevandosi da terra per sondare un segmento che, nel nostro paese, vale complessivamente 118 milioni di euro (il dato è del 2022, in crescita del 20% rispetto all’anno precedente). Stiamo parlando della drone economy. In questa e nelle prossime puntate cercheremo di capire le tecnologie e le storie dietro ad aziende innovative che sfruttano questi mezzi volanti in varie industry, dall’agritech fino al trasporto passeggeri.
TerraSharp
Il richiamo della campagna, la nostalgia delle origini, la bellezza della Bassa padana. Chiamatela come volete: fatto sta che l’origine di una startup come TerraSharp non si racconta partendo da Milano, dove ha sede, magari in quelle zone urbanizzate dove una volta era tutto verde e campi. Bisogna invece spostarsi parecchi chilometri a sud est, dove i campi hanno modellato un paesaggio piattissimo e d’estate le piante di granoturco sono muri di un labirinto nelle stradine lungo i canali.
In provincia di Cremona, la famiglia di Alessandro Guarneri, il fondatore, aveva un’azienda agricola, come tante altre se ne vedono in queste zone. «Presto però ha capito che non voleva fare quel lavoro, ma occuparsi di informatica», ci spiega Federico Barone, agronomo e project manager dell’azienda. Così ha dato origine a una società di consulenza informatica, GreenSharp. Ma per capire cosa c’entra questa storia con vino, droni e campi dovete seguirci ancora un po’.
«Milano non è proprio il primo luogo che viene in mente quando si parla di una startup agritech». Eppure è qui che è gemmata l’idea di sviluppare un business totalmente diverso rispetto a consulenza informatica, software e sistemi di gestione aziendale che fanno da core business di GreenSharp. Non abbiamo avuto il piacere di parlarci, ma vogliamo credere che Guarneri abbia sempre portato una parte della campagna dentro di sè, nella speranza un domani di riprenderla per fonderla con qualcosa di digitale. «In effetti la sua sfida è stata quella di unire mondi distanti – evidenzia Barone -. Così si è informato e ha messo su un piccolo team per cercare di capire cosa si poteva fare sull’agricoltura di precisione».
TerraSharp viene lanciata nel 2017 e Federico Barone, agronomo («un tempo era il dottore delle piante»), ha vissuto le origini di un’azienda che ancora oggi opera su un mercato italiano ancora di nicchia. La storia di TerraSharp è utile anche per capire che cosa gli agricoltori e gli imprenditori che lavorano in questo settore possono ottenere grazie all’utilizzo di droni che si sollevano da terra e riprendono un campo con telecamere tradizionali, a infrarossi o multispettrali.
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Droni, quando servono
In un campo di granoturco, ad esempio, il ricorso a simili tecnologie raramente porta benefici come ci spiega l’agronomo. «In una risaia o in campo a semina il reddito per quel singolo terreno è molto inferiore rispetto a un vigneto. E così la capacità di spesa è inferiore: non giustifica in altre parole un intervento con un drone per ottenere informazioni. Ci sono però sistemi come i satelliti che danno risultati comparabili». Andiamo dunque sul terreno preferito dei droni di TerraSharp.
«Ci concentriamo moltissimo sui vigneti». Ambito dell’agricoltura dove una visuale simile può dare informazioni preziose permettendo un risparmio di tempo e risorse non indifferente. «Pensiamo a piante disposte lungo filari. Come si fa a capire se una è morta? Occorre farsi una passeggiata, perderci tempo». Un drone dall’alto, invece, anche con una telecamera tradizionale indica dove si trova: un occhio esperto la riconosce banalmente dal colore differente.
Le cose si fanno invece più complesse quando si tratta di capire se alcune piante hanno bisogno di essere irrigate o se hanno acqua a sufficienza. In questo caso bisogna fare ricorso agli infrarossi. «Con un drone attrezzato si capisce quale pianta è più calda e dove c’è bisogno di intervenire». Elemento non da poco dati i frequenti periodi di siccità che da anni colpiscono anzitutto il settore primario in Italia e in Europa. Da bene prezioso per l’agricoltura, l’acqua è se possibile ancora più indispensabile e sprecarla va contro gli interessi stessi di chi lavora la terra ogni giorno.
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Come terza soluzione, TerraSharp solleva in volo telecamere multispettrali, capaci di fotografare lo stato di salute della pianta a 360 gradi. «Questa tecnologia riesce a vedere anche una porzione di infrarosso, ottenendo i cosiddetti indici vegetativi, formule matematiche che danno parametri. Come l’NDVI: stabilisce quanto le piante sono in salute, con un valore da -1 a 1. Per fare un esempio: 1 è foresta Amazzonica, ovvero un verde lussureggiante».
Lavorare con i droni in agricoltura non significa farli decollare ogni settimana. I tecnici e consulenti escono infatti con operazioni puntuali per fare perdere meno tempo possibili a chi, soprattutto in campagna, tempo a disposizione ne ha poco. «Vogliamo minimizzare il nostro numero di interventi – aggiunge Barone -. L’unico che ha bisogno di essere cadenzato nel tempo riguarda il bisogno di acqua da parte delle piante. Altrimenti, per capire lo stato di salute di un vigneto basta un unico volo tra luglio e agosto».
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Agrobit
In una nicchia come quella della drone economy, l’ambito agritech è senz’altro uno dei più battuti dagli imprenditori. Tra le aziende che abbiamo sentito c’è poi Agrobit, impegnata a fare quello che spesso le startup fanno: favorire il trasferimento tecnologico in aziende tradizionali. «Siamo un’azienda che sviluppa processi e tecnologie per l’agricoltura 4.0 e nasce con lo scopo di digitalizzare le aziende agricole con un approccio olistico», ci spiega Niccolò Bartoloni, COO e agronomo. Grazie alla tecnologia chi gestisce un’azienda agricola ha la possibilità di ottenere i cosiddetti digital twin, copie virtuali dei terreni, con molte informazioni annesse.
«Il servizio principale di Agrobit è l’imaging aereo, ovvero la fornitura di mappe tematiche ottenute con aeromobili a pilotaggio remoto muniti di sensori rgb, multispettrali e termici utili per ottimizzare le operazioni agricole quali fertilizzazione, distribuzione di fitofarmaci e acqua, e raccolta dei prodotti agricoli». Questa mole di dati viene poi ordinata sulla piattaforma Agricolus, «al fine di fornire un sistema di supporto alle decisioni completo all’agricoltore e agronomo». Anche Agrobit come Terrasharp è impegnata soprattutto in ambiti legati alla viticoltura.
I droni non aiutano soltanto per fotografare l’esistente, ma anche in ottica predittiva. «L’utilizzo di camere multispettrali e termiche – argomenta il COO di Agrobit – consente di intercettare tempestivamente eventuali difformità fisiologiche della pianta, consentendo all’agricoltore di intervenire quanto prima. Queste camere montate su droni facilitano la produzione di mappe che restituiscono una visione d’insieme esaustiva».
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A quando il vero decollo?
Dal momento che su StartupItalia abbiamo mappato le realtà agritech, l’occasione dell’intervista con due esponenti del settore è stata utile anche per capire lo stato dell’arte della drone economy in Italia per quando riguarda l’agricoltura. «Più che il quadro italiano io mi concentrerei su come funziona l’agricoltura europea e come funzionano le cose invece all’estero – conclude Barone di TerraSharp -. Negli USA, così come in Sudafrica, al posto di tante piccole aziende, operano realtà più grosse, con consigli di amministrazione, dove si ragiona quasi più da azienda del settore secondario. Secondo me la drone economy applicata all’agricoltura ci sarà soltanto quando l’Unione Europea ci vorrà puntare seriamente, investendo nelle innovazioni».