Negli anni scorsi gli esperimenti via Yelp e con Twitter. Ora la Food Standards Agency britannica vuole usare big data per prevedere epidemie (e migliorare il rapporto dei cittadini con l’alimentazione…)
I social network e il cibo. Non solo #foodporn ma anche ricadute scientifiche, specialmente quando si tratta di tenere sotto controllo l’esplosione (anzi, la possibile deflagrazione) di epidemie o almeno di larghe diffusioni così come, con un po’ di panico in meno, le abitudini alimentari casalinghe. Le intossicazioni, in particolare, sono nei pensieri delle autorità di controllo di mezzo mondo. Le ultime notizie arrivano dalla Food Standards Agency britannica, che ha ammesso di aver efficacemente utilizzato Twitter come “sistema d’allarme preventivo”. Come funziona? Monitorando hashtag, parole-chiave, post degli utenti. In sostanza, sfruttando la potenza dei big data. Non basta: nel mirino anche le immagini su Instagram o i contenuti su Facebook. In questo caso, per entrare nelle cucine degli inglesi e capire come cucinano, cosa mangiano e se si nutrono in modo corretto.
Quella volta che Twitter…
Non è la prima volta che i social network vengono utilizzati per tenere d’occhio il cibo e il rapporto delle persone con esso in termini di salute pubblica. A Chicago, per esempio, le autorità in passato hanno sfruttato Twitter per monitorare le emergenze alimentari. A New York, invece, grazie al social di recensioni Yelp, sono stati tracciati i ristoranti “a rischio” infezione. Un paio d’anni fa un gruppo di ricercatori dell’università di Rochester, usando il sistema nEmesis, è riuscito a tracciare 480 casi di intossicazione nella Grande Mela. I limiti sono molti, è vero (sono contenuti grezzi, non moderati, a volte imprecisi) ma che, con gli aggiustamenti statistici del caso, possono tornare molto utili. Specialmente rispetto ai tradizionali metodi di raccolta dati dei pazienti. Anche da Apple – ma solo sul lato salute – se ne sono accorti partorendo l’anno scorso HealthKit.
L’intreccio fra cibo e salute
Cibo e salute, infatti, sono temi intrecciati. Tornando al caso britannico, per esempio, il Telegraph racconta di come i contenuti che in qualche modo erano legati a patologie alimentari siano stati e continuino a essere trasmessi al sistema sanitario nazionale per preparare ospedali, medici e centralinisti per esempio a possibili picchi di norovirus, uno tra gli agenti più diffusi di gastroenteriti acute di origine non batterica, fra le problematiche principali in tema di sicurezza alimentare. Ma anche di altre patologie.
Migliorare il rapporto con la nutrizione
Allo stesso modo, spiare le timeline e le bacheche dei social degli utenti può condurre – fuori dall’emergenza – a produrre nuove linee guida per migliorare il rapporto con gli alimenti: “Abbiamo scoperto che utilizzare Twitter ci ha permesso di identificare le epidemie di norovirus fino a due settimane d’anticipo rispetto al Public Health England, l’osservatorio sanitario britannico – ha detto Guy Poppy della Fsa – è un elemento fondamentale in termini di organizzazione delle cure primarie. In generale, siamo davvero convinti che Twitter possa essere un ottimo canale per raccogliere informazioni sui temi più vari relativi al mondo del cibo”.
Citizen science?
La chiamano citizen science o crowd science. Forse usare il termine scienza non è del tutto corretto. In generale, però, l’estensione e la profondità di quello che condividiamo ogni giorno sulle varie piattaforme (foto, pensieri, testi, video corredati da hashtag) sono così elevati da poter essere utilizzati per migliorare le abitudini alimentari e perfino culinarie del Paese. Il problema? “Solo una piccola parte della popolazione usa i social media – ha aggiunto Poppy – ma rimane un buon modo per conoscere meglio le preferenze degli under 25”.