La piattaforma foodsharing S·Cambia Cibo (fra privati) regala alimenti non consumati per evitare che vengano buttati, creando una dispensa collettiva. E così rinascono anche le relazioni sociali…
Lo sentiamo ormai ogni giorno al telegiornale, sono pieni i social network e le convention internazionali, tanto che non fa neanche più notizia. Eppure mentre metà del mondo muore di fame, l’altra metà riesce a sprecare una quantità di cibo così esagerata che sarebbe sufficiente a sfamare il globo intero. Sono i dati a parlare: lo spreco alimentare annuo ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate, pari a oltre 560 miliardi di euro. E il 42% di questo dispendio avviene fra le mura domeniche (fonte: Barilla CFN – Center for Food and Nutrition). Eppure basterebbe solo condividere le eccedenze con chi ne ha bisogno, come ha ben pensato S·Cambia Cibo.
Condividere è meglio dello spreco
Il progetto, partito a luglio 2013 all’interno del coworking bolognese Kilowatt, ora fa parte a tutti gli effetti di Resilia, la cooperativa di ricerca e sviluppo sul tema della resilienza. Innovazione, condivisione e coinvolgimento hanno portato all’idea, partita dall’essere un ristorante, di una piattaforma per il foodsharing contro lo spreco alimentare. Il funzionamento è semplice: ci si collega al sito http://www.scambiacibo.it/, si inseriscono i dati e la geolocalizzazione, e poi si mette foto e breve descrizione dell’alimento ARS (alimento a alto rischio spreco) da regalare. Il resto lo fa la rete, chi ha bisogno di un ingrediente che non ha in casa si collega e cerca se qualche utente nella sua zona ne è in possesso, poi non resta che confermare la scelta e incontrarsi in un luogo comodo a entrambi. «Poniamo che io stia partendo per una settimana e in frigo sono rimaste delle zucchine. Invece di buttarle, le fotografo e indico scadenza e luogo dove trovarle. Se poi navigando vedo che c’è a disposizione una zuppa di legumi, ho pronta anche la cena e la prendo!» spiega Ilaria Venturelli, co-idreatrice della startup insieme a un gruppo di ingegneri. Il servizio è già attivo su tutto il territorio nazionale, permettendo di targettizzare il raggio d’azione in 5-10-20 Km o tutta Italia.
Un risparmio che porta guadagno
Va precisato che non si tratta di un baratto, è una libera cessione delle eccedenze alimentari, senza intermediazione di denaro. Eppure i vantaggi ci sono, sia di natura economica, che ambientale che sociale. Infatti, scambiare alimenti ancora consumabili senza comprarne di nuovi, fa risparmiare denaro a chi riceve il prodotto e permette di ridurre sensibilmente i rifiuti, le emissioni di CO2, il consumo di acqua e il degrado del suolo. E poi c’è la questione sociale, perché S·Cambia Cibo alimenta le nuove conoscenze fra cittadini. Questo potrebbe portare nel tempo a delineare un vero e proprio servizio di rendicontazione inerente le aree urbane che saranno sempre più oggetto di dinamicità relazionale in un prossimo futuro. Un vero e proprio modello “win win”, che in Italia si sta avviando fra privati ma che in Europa ha già preso piede nella grande distribuzione, come il caso di WeFood – il supermarket degli sprechi nato in Danimarca (ve lo abbiamo raccontato qui).
La dispensa collettiva oltre il “mio e tuo”
Il concetto più forte che il progetto di questa piattaforma e tutte i nuovi sistemi di foodsharing stanno facendo trasparire è che la società si sta rendendo conto della debolezza del vecchio sistema “questo è mio, quello è tuo” per abbracciare sempre di più la forza della condivisione. In questo caso alimentare, una creazione di una vera dispensa collettiva dove privati, aziende o associazioni possono prendere o lasciare alimenti ad alto rischio di spreco. Sembra quindi che la crisi abbia, almeno in parte, contribuito alla ridefinizione della cultura italiana, creando le basi per il successo di una mentalità sempre più collaborativa contro gli sprechi di tutti i tipi, in particolare di quelli alimentari, che ogni anno causano milioni di vittime inaccettabili nel terzo millennio.