Da anni un’artista newyorkese iperrealista dipinge sé stessa e altre modelle alle prese con una delle ossessioni della contemporaneità. L’antitesi del trionfo di programmi e reality
Sono alcuni anni che il complicato rapporto col cibo trova nelle opere iperrealiste della pittrice Lee Price, così dettagliate che si fa fatica a distinguerle da immagini fotografiche, una sua nuova mediazione. Anzi, una rivelazione che incrocia tecnica sopraffina e psicologia. Nel bagno (o addirittura a mollo nella vasca), sul letto, in salotto, per terra, in poltrona. Ovunque ci sono donne – anzi, spesso c’è lei stessa – alle prese con porzioni e quantità spesso del tutto fuori misura di cibo. Dalle angurie ai muffin, dai cereali al gelato, dalle torte ai noodles, dalle ciambelle donut alla frutta.
Il braccio di ferro fra donne e alimentazione
L’artista newyorkese focalizza da sempre, almeno dal 2007, il suo lavoro su quello che spesso è un autentico braccio di ferro fra donne e alimentazione. Collabora con il fotografo Tom Moore che (spesso le) scatta centinaia di foto e le fornisce il modello dal quale ricava oli su tela o lino di una fedeltà a dir poco prorompente. Che è in fondo l’effetto assicurato dell’iperrealismo. Mai visto una natura morta del nostro Luciano Ventrone? Provvedere subito.
“Questi dipinti sono davvero intimi – ha raccontato qualche anno fa a The Other Journal – sono autoritratti, uso me stessa come modella. Rispetto al cibo, mi piace occuparmi di cose considerate proibite o gratificanti. I ritratti toccano il tema della compulsione, l’eccesso può essere uno degli aspetti”. Specie con certi tipi di alimenti: “Nessuno si abbuffa di carote”, ha precisato sarcastica Price. Come darle torto.
Bagni e letti: dove non dovrebbe esserci cibo
Su tutti, bagni e letti. Luoghi, anche quelli, estremamente privati. Immortalati – ci risiamo – con un punto di vista aereo, il bird’s eye, proprio a continuare il discorso già inaugurato su queste pagine. Lo scatto con il cibo (e da quella prospettiva) come ricostruzione di un proprio piccolo mondo personale. Stavolta in grado di aiutarci a confrontarci con i nostri problemi. “Sono spazi di solitudine e luoghi in cui è difficile trovare qualcuno che mangi – ha aggiunto l’artista statunitense – lo spazio privato enfatizza la segretezza dell’atteggiamento compulsivo, la singolarità sottolinea la sua assurdità. La solitudine e la pace della messa in scena è una buona giustapposizione delle frenetiche azioni delle donne”. Ecco il perché del God’s eye: “È il soggetto che guarda sé stesso: esterno eppure impossibilitato a fermarsi”.
In fondo il tema vero è appunto la nostra ossessione per il cibo. Che, dai social network all’arte contemporanea, tentiamo in ogni modo di analizzare. Anche il successo degli (spesso spietatissimi) reality show a tema e l’esplosione, ormai pluriennale, dei programmi di cucina, possono dirci qualcosa di queste opere: ne sono infatti l’antitesi. Rappresentano il caos contro la problematizzazione messa in campo da Price. Anzi, come ha raccontato la stessa artista, la “distrazione dalla propria presenza”. È in quel passaggio che il feticcio perde ogni misura e, sembra di ricavare dalle espressioni dei dipinti, perfino ogni sapore per diventare – quando, ovviamente, la bilancia ha perso l’equilibrio – un diaframma attraverso il quale anestetizzare la realtà.