Da una parte web e app hanno sostituito il tradizionale cookbook, dall’altra le librerie continuano a traboccare di volumi all’apparenza iperspecialistici ma spesso di scarsa qualità: chi sarà l’Artusi dell’epoca iperconnessa?
Il problema non sembrerebbe avere senso. Se anche voi avete un partner foodblogger (nel mio caso è Viveredigusto) saprete benissimo che le librerie sono stracolme di libri di cucina. A loro volta confezionati con accessori, dalle spatole ai pirottini, per ingolosire gli acquirenti. C’è davvero di tutto e pare semplicemente impossibile uscirne a mani vuote. Il punto, però, è un altro. Che fine ha fatto il classico ricettario? Anzi, ancora meglio: che conseguenze ha avuto internet su quello specifico genere librario?
L’estinzione del cookbook
In qualche modo se l’è domandato di recente Quartz, che è partito da un presupposto: la progressiva estinzione del tradizionale cookbook. Quello, in altre parole, in cui trovare la ricetta giusta – definitiva, assoluta, incontestabile – per un certo piatto e non una qualsiasi variante, magari originale e supercreativa, ma pur sempre opinabile. La ragione è semplice: nell’era dell’iperconnettività i fondamentali sono bulimicamente disponibili su milioni di siti, portali, network, blog, forum, social network. Insomma, se lo standard ha trovato casa sul web, cosa mandare sugli scaffali della libreria?
Venendo a noi, cioè al mercato italiano, il fenomeno è presto descritto: starchef e soprattutto personaggi televisivi (starlette, giornalisti riciclati dietro i fornelli, attorucoli in cerca di visibilità, dei presentatori non parliamone neanche) dominano quello che una volta era il campo dei classici ricettari. Spesso con prodotti di scarso livello e proposte banalotte, sfornate sull’onda di una ritrovata ma fugace notorietà. D’altra parte, il resto del mercato si divide fra miriadi di pubblicazioni che, per tentare di emergere dalla rete – offline e online – propongono di tutto, scendendo verso un inquietante livello di specializzazione: dai pani dimenticati alle varianti salutiste passando le mug cake.
Un’alternativa – la racconta sempre Quartz – potrebbe essere il lavoro che ha fatto la community Food52 per tentare la transizione dalla rete al “vecchio” tomo cartaceo: anziché uccidere il ricettario, l’executive editor Kristen Miglore ha deciso di provare a resuscitarlo con un libro (Genius Recipes) che raccoglie una selezione delle ricette segnalate in una rubrica del sito dal 2011 e provenienti dai più diversi membri della comunità digitale: chef, ovviamente, ma anche autori, blogger, ristoratori. In questo caso l’idea è stata produrre una scrematura, con l’aiuto degli utenti, delle proposte che fornissero almeno un elemento distintivo all’interno di pietanze tradizionali.
Chi sarà l’Artusi dell’era iperconnessa?
È solo un esperimento, in fondo neanche troppo originale. Tuttavia è il sintomo di un disagio vero: chi è, tanto per tornare a brodini di pollo, arrosti e rifreddi, il Pellegrino Artusi del web 3.0? Alcuni risponderanno l’intelligenza collettiva della rete, che è diventata uno sterminato manuale. Vero. Ma non c’è il rischio, così, di perdere canoni e tradizioni assegnando alle spesso dubbie (e interessate) rielaborazioni dei cuochi superstar il compito di fissare gli standard nei loro volumi dai titoli a effetto e i contenuti a scottadito? Il dubbio è lecito: fra 2008 e 2014 gli italiani hanno pubblicato e acquistato sempre più libri di enogastronomia (+28,6% per un totale di circa 30 milioni di euro di giro d’affari), i titoli del 2013 sono stati 1.048, significa che ogni giorno sono usciti (e continua a uscire) quasi tre nuovi volumi che pretendono di insegnarci a cucinare, sottoporci nuove ricette o semplicemente farci sbavare sulle fotografie. I dati presentati dall’Aie all’ultima fiera romana Più libri più liberi raccontano che il segmento costituisce il 16% della manualistica: un libro su cinque in quel macrosettore, che raccoglie decine di ambiti – dal fai-da-te al giardinaggio – è zuppa o pan bagnato.
Fra app, rete e librerie
“Un tempo, quando il cibo era ancora un bisogno primario, si pubblicavano poche centinaia di titoli – aveva sottolineato a dicembre Giovanni Peresson, responsabile Ufficio studi Aie – oggi, in epoca di politeismo alimentare, con la caduta delle ortodossie alimentari, con il 10% degli italiani che mangia fuori casa tutti i giorni e il 42% pranza fuori almeno 2 volte alla settimana, si assiste, e soprattutto la si avvertirà ancor più nei prossimi anni, a una vera e propria divaricazione del prodotto editoriale”.
È esattamente quello che sostenevo: il ricettario è morto perché è diffuso. Ma è complicatissimo trovare un’alternativa nell’esplosione dei contenuti: è come se fosse scomparsa la sana via di mezzo gastronomica, il compromesso casalingo. Ci si muove fra la pressione dal basso del web e quella dall’alto dei gruppi editoriali che cavalcano le facce da piccolo schermo (e ogni tanto da web). Sul resto, il nulla. “Da una parte si cucina grazie alle app e alla rete che già oggi nei blog di successo hanno diverse decine di migliaia di accessi – continuava Peresson – dall’altra si cercano libri di qualità, con scatti di fotografie famosi. Alcuni editori stranieri stanno addirittura posizionando una parte della loro produzione nella tiratura limitata e nelle fasce più alte di prezzo. Sta insomma cambiando il tipo di produzione editoriale, ma al centro c’è sempre la dimensione dell’eccellenza”. In tutto questo, però, si stenta a capire – al di là degl scatti d’autore – che fine abbia fatto l’affidabilità culinaria e come diavolo recuperare le autentiche ricette della nonna.