La popolazione mondiale è in crescita e gli oltre 9,5 miliardi di persone che vivranno sulla Terra nel 2050 avranno bisogno di molto più cibo. Scopriamo insieme a Stefano Mocali, ricercatore del CREA, come il microbiota del suolo sia una leva per aumentare la sostenibilità agricola e per produrre cibo in quantità maggiore e di migliore qualità
Secondo le ultime proiezioni dell’ONU la popolazione mondiale raggiungerà i 9,8 miliardi nel 2050. Sembra incredibile a dirsi, ma la speranza di riuscire a sfamare una popolazione in continua crescita è strettamente legata al microbiota del suolo. Ovvero, il destino dell’umanità è anche nelle mani dei microrganismi presenti nel terreno: batteri, funghi, protozoi e alghe, organismi la cui dimensione si misura in micron. Ripristinare la biodiversità del suolo e lavorare con i microrganismi è una delle leve di ricerca per rendere l’agricoltura più sostenibile, produrre di più e meglio.
I microrganismi interagiscono con le piante
Analogamente all’uomo, che vive in simbiosi con tutti i microrganismi che colonizzano l’intestino, l’apparato respiratorio e la pelle, anche le piante hanno il loro microbiota e vivono in simbiosi con questo. I vegetali collaborano con i microrganismi presenti nel suolo, ma non solo: “La pianta è in continuo contatto con i microrganismi che sono presenti nei tessuti interni e che vivono sulla sua superficie. È però a livello dell’apparato radicale che avvengono più scambi”, ci ha raccontato Stefano Mocali, ricercatore del CREA , Centro ricerca agronomia e ambiente. Il suolo è popolato di una quantità incredibile di esseri viventi, non solo di microrganismi. È stato stimato dalla Global Soil Biodiversity Initiative che un ettaro di suolo possa contenerne anche 15 tonnellate, l’equivalente di 20 mucche. Sempre secondo stime, è possibile che un quarto delle specie viventi sia ospitato proprio nel terreno.
Il potere del microbiota
Le funzioni dei microrganismi sono innumerevoli. Garantiscono infatti tantissimi servizi, i cosiddetti servizi ecosistemici: si va dalla difesa dai patogeni e dagli stress ambientali (come la siccità), all’apporto di elementi nutritivi. Un microbiota in salute garantisce quindi che la pianta si sviluppi al meglio: “Molte piante non sono in grado di acquisire i nutrienti – ha spiegato ancora Stefano Mocali – alcuni microrganismi presenti nel terreno dunque si occupano di trasformarli in modo che possano essere assorbiti dalle radici. Per esempio, in carenza di fosforo, le piante mandano un segnale a determinati funghi e batteri che sequestrano e rendono loro disponibile il fosforo. A volte le carenze nutritive delle piante dipendono da un malfunzionamento del suolo, l’indisponibilità di certi nutrienti a volte si spiega con la mancanza di determinati microrganismi. Un altro esempio: alcuni microrganismi possono sequestrare sostanze nocive come i metalli pesanti o possono tenere sotto controllo patogeni pericolosi per le piante”.
Microrganismi e sostenibilità agricola, un legame stretto
Ci sono microrganismi benefici quindi che sono in grado di aumentare la disponibilità di nutrienti o di indurre meccanismi di resistenza ai patogeni. I funghi micorrizici per esempio favoriscono la tolleranza agli stress, aiutano la pianta a esplorare il suolo e migliorano la sua struttura.
Il legame fra microrganismi, sostenibilità e possibilità di produrre cibo migliore è ora evidente: “Se utilizzo microrganismi che promuovono la nutrizione attraverso il loro metabolismo naturale, l’agricoltore potrà diminuire l’uso di fertilizzanti chimici. Sappiamo – ha continuato Stefano Mocali – che certe piante sono soggette a malattie tipiche della zona. Se in maniera mirata proponiamo microrganismi che aiutano le piante a difendersi, l’agricoltore non sarà costretto a utilizzare fitofarmaci”.
Una porzione piccolissima dei microrganismi esistenti è nota. Proprio per questo la Ricerca lavora sempre di più sulla conoscenza delle interazioni fra comunità microbiche e fra queste e le piante ospiti. Riuscire a valorizzare i microrganismi in agricoltura è una delle chiavi per combattere il cambiamento climatico, rendendo più efficienti le piante di interesse agrario, e per rendere l’agricoltura più sostenibile, resiliente e produttiva.
L’agricoltura deve affrontare sfide importanti – ha detto ancora Stefano Mocali – ci si chiede dunque quali strategie adottare. Da un lato si lavora sul miglioramento genetico delle piante, dall’altro c’è il miglioramento delle pratiche di gestione del suolo, per esempio con l’apporto di sostanza organica o tecniche di agricoltura conservativa. E poi c’è un’opzione molto intrigante, sfruttare i microrganismi che si trovano nel suolo”.
“Possono essere selezionati e migliorati per essere poi applicati in campo a livello di seme o sulla pianta, in diversi modi al fine di migliorare le performance delle colture, il loro stato di salute, il livello qualitativo delle produzioni. Ci sono diverse applicazioni che hanno come comune denominatore l’utilizzo di inoculi microbici. Un approccio punta sulla selezione di microrganismi speciali per poi applicarli. Un secondo approccio cerca di valorizzare le comunità microbiche che già sono in un determinato ambiente perché aiutino la pianta ad esprimersi al meglio”.
L’esempio del progetto di ricerca Excalibur
Sull’utilizzo di inoculi microbici sta lavorando anche il CREA. Stefano Mocali coordina il progetto Excalibur, finanziato dall’Unione Europea attraverso il programma Horizon 2020. Il progetto Excalibur è a buon punto, i ricercatori sono già alla fase di campo, testano quindi direttamente sul terreno i risultati della ricerca di laboratorio. Scopo di Excalibur, che vede la collaborazione di diversi istituti di ricerca e Università, anche all’estero, è comprendere meglio le dinamiche della biodiversità nativa di un suolo e l’interazione di questa con i microrganismi che vengono inoculati per promuovere la crescita delle colture. I ricercatori stanno lavorando su colture come pomodoro, melo e fragola.
“I bioinoculi che vogliamo utilizzare agiranno come un innesco. Abbiamo selezionato i microrganismi direttamente nei suoli sui quali li utilizziamo. Sono quindi in grado di adattarsi facilmente, di sopravvivere e moltiplicarsi. E i risultati preliminari sembrano molto promettenti”.
Startup e multinazionali investono sui batteri
Se università e istituti di ricerca lavorano per sfruttare il potere dei microrganismi del suolo, sono in molte le aziende, fra startup e multinazionali, ad aver fiutato il business e ad investire nel settore. Fertilizzanti e agrofarmaci (fungicidi, insetticidi ed erbicidi) sono spesso accusati di essere poco sostenibili. Per ridurre l’uso di questi input, senza compromettere la produttività agricola, la direzione sembra quindi proprio quella di utilizzare i microrganismi.
La startup americana Pivot Bio è un esempio. Il team di ricerca ha isolato e modificato geneticamente (per migliorarne le performance) ceppi di batteri in grado di trasformare l’azoto atmosferico in modo che il mais lo possa assimilare. I batteri azotofissatori, una volta distribuiti in campo, lavorano come se fossero un fertilizzante, permettendo alla pianta di nutrirsi. Secondo l’azienda californiana il prodotto, denominato ‘ProveN’, è in grado di fornire circa 20 kg di azoto per ettaro, con un risparmio quindi di fertilizzanti chimici.