Diminuisce il consumo pro capite di pasta in Italia e aumenta l’export. Ecco perché spaghetti, penne e rigatoni vengono sempre più cotti in maniera non ortodossa. Avvertenza: foto sconsigliate ai puristi
L’emblema dell’italianità culinaria, seconda solo alla pizza, è sicuramente la pasta. Anche se ne siamo i cultori per eccellenza in Italia il consumo medio sta diminuendo: nel 2004 era di 28 chili pro capite, nel 2013 siamo arrivati a quota 25,3. Il contraltare si chiama export. Secondo l’Aidepi, l’associazione dell’industria del dolce e della pasta l’esportazione ha superato ormai il 55 per cento della produzione nazionale ed è cresciuta del 5,4% dal 2012 al 2013.
Ed ecco perché molte volte la pasta viene arrangiata, modificata, hackerata come nel caso della cottura in acqua fredda. In parole povere la pasta risottata.
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Al secondo posto, dopo gli italiani, tra i “pasta lovers” troviamo i venezuelani con 13,2 chilogrammi di pasta pro capite consumati in un anno. Sul gradino più basso del podio c’è invece la Tunisia.
In Grecia, quarta in classifica, vengono consumati 11,5 chili di pasta a testa. Prevalentemente grazie al pastitsio: una rivisitazione delle lasagne a base di pasta, carne macinata e besciamella.
Basta poi fare un salto dall’altra parte dell’oceano per scoprire che la pasta non è esattamente quello che intendiamo noi quando la ordiniamo al ristorante. In Argentina primo e secondo si trasformano in un piatto unico e la carne diventa l’ingrediente di base. Ed ecco l’hacking albiceleste: cucinare la pasta lasciandola cuocere nel latte! Il risultato sono i Fideos con Leche, una specie di pasta al forno molto leggera.
Negli Usa invece la pasta va a braccetto con le meatballs. Le polpettine di carne che in Italia, ovviamente, non abbiamo mai visto se non nei film di Holliwood o in “Lilli e il vagabondo”.
Ma preparare tante polpettine può essere noioso. Perché non farne una sola e gigante per poi infilarci gli spaghetti dentro come un ripieno?