In occasione della giornata mondiale della pasta, viaggio tra pastifici tecnologici e ricette classiche. Ogni italiano ne consuma 23 chilogrammi all’anno e la produzione globale è sui 110 miliardi di euro. Negli ultimi dieci anni gli acquisti di pasta nel mondo sono passati da 9 a 17 milioni di tonnellate
Cosa c’è di più italiano di un bel piatto di pasta? Domanda difficile..Forse verrebbe da dire “la pizza”. Sebbene pasta e pizza siano i piatti più noti del “made in Italy” all’estero, la scoperta della pasta è ben più antica della prima pizza sfornata dal cuoco Raffaele Esposito nel giugno del 1889, in onore della Regina d’Italia Margherita di Savoia. Si pensi che, invece, il primo documento scritto in cui si accenna alla pasta è stato attribuito al gastronomo, cuoco e scrittore romano Apicio vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Ebbene, chi sa se oggi potesse vedere con i suoi occhi quella che lui chiamava “lagana” come si presenta e, soprattutto, in quanti modi la si può cucinare. Cosa c’è di più innovativo di una pietanza che è sopravvissuta a tutti questi secoli diventando uno dei simboli per eccellenza del “Made in Italy”? E anche se all’estero il suo consumo è cresciuto notevolmente, quasi raddoppiando in 10 anni – da 9 a circa 17 milioni di tonnellate – gli italiani restano i più grandi mangiatori di pasta del mondo per un giro d’affari che nel nostro Paese vale 2.6 miliardi di euro (fonte: Unione Italiana Food). Alla vigilia del World Pasta Day, analizziamo meglio il settore facendoci guidare non solo dall’appetito ma anche dai dati di una recente elaborazione di Unione Italiana Food su dati Istat.
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Pasta in numeri
Come già accennato, negli ultimi 10 anni gli acquisti di pasta a livello globale sono passati da 9 a 17 milioni di tonnellate, con esportazioni dall’Italia per 3,7 miliardi (+31% sul 2021). Gli abitanti del Belpaese non li batte nessuno: con circa 23 chili annui pro capite gli italiani sono i più grandi consumatori di pasta al mondo, e ben oltre la metà della produzione nazionale è destinata all’estero (circa il 61%). Lo scorso anno sono state esportate nel mondo quasi 2,4 milioni di tonnellate di pasta italiana (+5,2% sul 2021) per un valore di 3,7 miliardi di euro (+31% sul 2021). Vale a dire che oltre 78 milioni di porzioni di pasta italiana finiscono sulle tavole di tutto il mondo. L’Italia è il primo Paese produttore (con 3,5 milioni di tonnellate, precede USA e Turchia).
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Chi mangia più pasta nel mondo?
L’export nei Paesi dell’Unione Europea occupa il 65,2% del totale, mentre il restante 37,8% riguarda i Paesi extra Ue. In valori assoluti, la Germania con 440.044 tonnellate, il Regno Unito con 296.578 tonnellate, la Francia con 267.685 tonnellate, gli USA con 259.470 e il Giappone con 67.126 tonnellate sono i mercati più strategici per l’export di pasta italiana. Ma la voglia d’italianità registra crescite intorno al 20% anche in Canada, Polonia, Malta, Libia e Kenya, e superiori al 50% in Arabia Saudita e Tunisia, addirittura superiori al 100% per la Repubblica di Moldavia, l’Indonesia, l’Iraq, la Costa d’Avorio e la Birmania. E in 20 anni sono quasi raddoppiati i Paesi dove si consuma più di 1 chilo pro capite di pasta all’anno. In Italia, il consumo pro capite annuo è di 23 chilogrammi, contro i 17 kg della Tunisia, che si attesta al secondo posto. Seguono Venezuela (15 kg), Grecia (12,2 kg), Perù (9,9 kg) Cile (9,6 kg), Stati Uniti (8,8 kg), Turchia (8,7 kg), Iran (8,5 kg), Francia (8,3 kg) e Germania (7,9 kg).
«Se la pasta italiana gode all’estero di tanto successo e ha un percepito estremamente positivo è merito del saper fare centenario dei pastai italiani – ha affermato Riccardo Felicetti, presidente dei Pastai italiani di Unione Italiana Food – Protagonista di infinite ricette antispreco e del giorno dopo, la pasta si conferma un alimento sostenibile, versatile, nutrizionalmente bilanciato e accessibile». Scopriamo insieme allora chi ogni giorno lavora affinchè questa tradizione non venga perduta mai.
Pasta fresca e innovazione
Ha aperto un nuovo ristorante a Milano e chiuso l’ultimo round di finanziamento a 10 milioni di euro. Miscusi, quella che un tempo era una startup e adesso un brand di successo, di strada ne ha fatta davvero tanta. Abbiamo recentamente intervistato (qui) il suo CEO e founder, Alberto Cartasegna, classe ’89, che ha fatto della pasta fresca il suo cavallo di battaglia. «Ricordo quell’episodio dei Griffin, in cui Peter si rivolge a un macellaio italoamericano, partendo con “Ehm…scusi?”», ci aveva detto riguardo la scelta del nome del brand, e sempre in quell’occasione aveva affermato che, per lui, la pasta è: «Un mezzo, a un vettore, una forma che puoi scegliere: uno spaghetto, un fusillo, una penna. Con la pasta puoi divertirti e riempire il tuo corpo di energia». E che il cibo è la medicina più potente che abbiamo. Purché sia di buona qualità.
Miscusi punta a diffondere la dieta mediterranea con la digitalizzazione, la velocità, sempre, rigorosamente, a tempo degli ingredienti di stagione disponibili, nel rispetto della biodiversità. «La pasta è tra gli alimenti più amati al mondo, nonché il piatto principe della dieta mediterranea, classificata come la più sostenibile per la salute, dell’uomo e del suolo – afferma Alberto – E contrariamente a quanti pensano che la pasta faccia ingrassare, invece fa dimagrire (non in 10 giorni ma in 10 anni). Il carboidrato, secondo la scienza, per una corretta alimentazione dovrebbe rappresentare il 50% dell’apporto calorico quotidiano. Ovviamente, poi, dipende da quali ingredienti si usano e da come la si condisce». E riguardo il prossimo futuro di Miscusi, Alberto afferma: «Stiamo lavorando su tre direttrici: l’agricoltura rigenerativa di sorgo e leguminose, dalla quale sono nati i nostri fusilloni a basso contenuto di glutine e le caserecce proteiche, il grano perenne, che non deve essere arato ogni anno ma ogni 7 e che dovrebbe portare ad avere uno stoccaggio permanente di Co2 e, infine, sempre verso la riduzione delle emissioni di Co2. La più grande sfida sarà trasferire tutto ciò ai clienti affinché nella scelta dei piatti siano consapevoli sia degli aspetti nutrizionali che dell’impatto ambientale».
Quando la pasta è inclusione
Di tradizione e innovazione culinaria si occupa anche “Il Tortellante“, realtà modenese che ha saputo intrecciare il saper fare degli ottimi tortellini con l’inclusione sociale. Ad aprirci delle porte della neonata bottega all’interno dell’ex mercato ortofrutticolo di Modena è Erika Coppelli, presidente del “Tortellante”, che ha dato vita al primo progetto pilota a cui oggi lavorano 40 ragazzi affetti da autismo tra i 15 e 27 anni e 40 nonne che gli insegnano il mestiere. «Qui, tutti i giorni diamo la possibilità anche di mangiare, sia a pranzo che a cena, di fianco al laboratorio dove i nostri ragazzi lavorano alla realizzazione dei tortellini – racconta la presidente – Abbiamo aperto, oltre alla bottega, anche uno spazio di ascolto rivolto alla cittadinanza non solo per comunicare i valori che stanno alla base del nostro progetto ma anche per aiutare coloro che non sanno come affrontare situazioni delicate che coinvolgono le persone affette da autismo. Qui, il nostro team scientifico, composto da 15 persone tra psicologi, psicoterapeuti ed educatori e capitanato dal neuropsichiatra, Franco Nardocci, accoglie chiunque abbia bisogno di un confronto».
Ma perchè Erika ha scelto proprio i tortellini come mezzo per l’inclusione? «Beh, neanche a dirlo, siamo a Modena.. Il tortellino è il miglior modo per comunicare il nostro territorio e le nostre tradizioni. Non a caso ci sono le nonne che insegnano questa arte ai nostri ragazzi. In più, il fatto che la lavorazione del tortellino sia una serie di passaggi sempre uguali e ripetitivi aiuta i nostri ragazzi nella produzione del prodotto con materie prime di eccellenza del territorio. Abbiamo puntato sulla qualità, che è indiscutibile, e per questo abbiamo ricevuto diversi riconoscimenti, anche da parte del Gambero Rosso e grazie al supporto di Massimo Bottura». I claim del Tortellante, non a caso sono: «Rivoluzione tranquilla» e «Pasta libera tutti!». «C’è bisogno di investire su attività come la nostra che possono aiutare i ragazzi in modo concreto, con un’occupazione concreta contro il vuoto sociale che si trovano a dover affrontare una volta che è finita la scuola. Ma per fare questo bisogna, prima di tutto, trovare le risorse adeguate».
Ripensare la pasta fresca bolognese
Ripensare la pasta fresca ripiena come prodotto essenziale della dieta mediterranea e simbolo per eccellenza di convivialità in famiglia è la mission di Re-think Pasta, spin-off del Future Food Institute. Nato dal lavoro di ricerca e sviluppo svolto dal Food Alchemist Team di Bologna attraverso cui vengono valorizzate la tradizione e la qualità italiane, ha dato vita alla creazione di nuove preparazioni capaci di mixare ingredienti diversi, rispondere alle crescenti esigenze dei consumatori e ai nuovi segmenti di mercato. A raccontarci l’idea che ha preso vita all’interno del Future Food Institute, insieme a Future Farm e a Boccedi & Pifferi, è Andrea Magelli, co-founder del Future Food Institute che ha seguito il progetto.
«Noi bolognesi ci siamo chiesti come poter innovare la nostra tradizionale pasta fresca con le esigenze odierne di consumatori che chiedono una cucina sempre più ricercata – racconta il co-founder – Re-think Pasta ha quindi approfondito questo concetto chiedendosi che cosa si potesse fare con nuovi ingredienti che derivano da scarti, ad esempio della birra, e che se lavorati diventano un ingrediente nuovo che, aggiunto ad alimenti come la pasta, li rende più nutrienti». Per Andrea innovare è anche garantire che il prodotto tradizionale rimanga al centro della nostra alimentazione. «Ci sono pilastri che la cultura e la storia fanno fatica a scardinare, ma noi abbiamo messo a punto il “cappelletto plant based” senza glutine, il “raviolo al brasato plant based” affiancato da 3 salse, le paste con spirulina e la “cacio e pepe vegana”, dagli scarti delle bucce di banana. La pasta non è una cosa solo italiana, ogni paese ha le proprie tradizioni, e con la globalizzazione e la crescita degli interscambi, ad esempio i ravioli sono diventati un trend, così come i noodles. E mi preme ricordare che la pasta è tra gli alimenti più sostenibili che ci siano, perché ha i nutrienti giusti per una dieta equilibrata e non genera molta Co2».
Dall’Italia al Regno Unito
Basata a Londra, Pasta Evangelists è stata fondata da Alessandro Savelli, Chris Rennoldson e Finn Lagun. Specializzata nella produzione di pasta e di sughi freschi distribuiti online nella D2C (direct to consumer), due anni fa la startup è stata acquisita da Barilla. Dietro l’idea c’è un italiano, Alessandro Savelli, di origine genovese, che ha avuto l’idea di “evangelizzare” (da qui il nome dato alla società) gli inglesi convertendoli alla pasta e ai sughi freschi da spadellare sul fuoco, ricevendo tutto comodamente a casa per posta. «Ci ispiriamo alla tradizione secolare del pastificio in Italia – ci racconta Finn Lagun – Alle botteghe a conduzione familiare dove da generazioni si producono piccole quantità di pasta fresca artigianale. Questa tradizione non esiste nel Regno Unito, né in nessun altro posto al di fuori dell’Italia, pertanto abbiamo voluto portare la vera pasta fresca italiana in nuovi mercati».
«Siamo rimasti (positivamente) scioccati da quanta maestria ci sia nella produzione della pasta fresca. Adoriamo guardare, ad esempio, la preparazione delle orecchiette nei vicoli di Bari – continua Finn – Noi vogliamo che i nostri consumatori pensino alla pasta come qualcosa che racconta una storia speciale, emozionante e fresca. Così, nel Regno Unito, serviamo il pesto al pistacchio, il sugo di noci, tipi di pasta fresca particolare. Vogliamo che anche qua si respiri un po’ d’Italia come ai più è sconosciuta».
Alla vigilia del World Pasta Day non resta che auguravi un buon appetito pensando a queste belle storie che ci fanno ricordare da dove veniamo senza smettere di pensare a come tramandare la nostra tradizione che vive e si tramuta da secoli.