Anteprima della nuova mostra al museo del contemporaneo di Roma, che lancia la sua stagione estiva: un viaggio in 50 opere per capire come le necessità dell’alimentazione plasmino corpo, paesaggi, città e ambienti
Food, dal cucchiaio al mondo è una mostra importante perché oltre all’esposizione in sé nasce da una concetto forte: indagare come il cibo ci cambi e cambi gli spazi in cui viviamo. Dal corpo alla casa passando per la strada, la città fino al paesaggio e al mondo.
Dimensioni che, non a caso, corrispondono alle sei sezioni della rassegna al via il 29 maggio al Maxxi di Roma, il museo delle arti del XXI secolo che mese dopo mese va riscoprendo la sua missione originaria. “Diventare un museo vivo, una piattaforma aperta, uno spazio per pensare e anche per cambiare” come ha detto la presidente della Fondazione Maxxi Giovanna Melandri, alle prese con delle mostruose necessità di finanziamento. La struttura firmata dall’archistar Zaha Hadid ha infatti bisogno di 10-12 milioni di euro annui per funzionare: dal ministero ne arrivano circa 5 (e spesso fuori tempo massimo) l’altra metà bisogna trovarla con donazioni, sponsorizzazioni, affitto degli spazi e altri progetti. Intanto, dal 10 ottobre, il museo – che nel 2014 ha raccolto 350mila visitatori e con i suoi laboratori coinvolto 30mila persone – esporrà finalmente la sua collezione permanente.
Il Maxxi è una piattaforma aperta, uno spazio per pensare e anche per cambiare
Food – insieme alla retrospettiva sul fotografo Olivo Barbieri – è una delle due esposizioni che caratterizzeranno la fine della primavera, l’estate e parte dell’autunno, visto che si chiuderà l’8 novembre. In un parallelismo con l’Expo di Milano che tuttavia, lasciatemelo dire dopo una lunga visita ai padiglioni milanesi e quella in anteprima nella capitale, in termini di contenuto coglie il bersaglio meglio di buona parte degli allestimenti di quelle stupende ma spesso semivuote fantastrutture alla fiera di Rho.
Dagli ultimi pasti al santuario dei semi
Oltre 50 opere di artisti, architetti, designer, urbanisti e fotografi accompagnano lungo i 2.500 metri delle gallerie 1 e 2 alla ricerca del modo in cui l’alimentazione – dalla produzione al consumo passando per la distribuzione – ci ridisegna come un fiume carsico che spunta a ogni incombenza delle nostre esistenze. Se dopo l’omaggio barocco (con la Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre del Domenichino) l’attacco, nella sezione Corpo, è scioccante con il progetto No seconds di Henry Hargreaves sugli ultimi pasti dei condannati a morte nei bracci della morte delle carceri statunitensi, lo sviluppo è invece avvolgente. Si salta, senza apparente soluzione di continuità, dalle case comuni (kommunalka) d’epoca sovietica, nelle quali la cucina era il fulcro di un precario equilibrio sociale, all’approfondimento sul Global Seed Vault, la casa dei semi di Spitsbergen, in Norvegia, dove nel permafrost trovano rifugio dai cambiamenti climatici migliaia di specie mondiali.
E ancora la ricostruzione a dimensioni reali della chashitsu, la sala giapponese per la cerimonia del tè (con performance in programma il 16 giugno, 16 luglio e 23 ottobre), alla White Limousine, l’enorme ristorante mobile del collettivo giapponese Atelier Bow Wow: pure questo finirà per mettersi al lavoro nel cortile del museo di via Guido Reni. Senza dimenticare, e non potevano certo mancare, i progetti di città ideali firmati da Le Corbusier, Frank Lloyd Wright e Ignazio Gardella. Oppure il germe della cucina moderna, quella Frankfurt kitchen di Margarethe Schütte-Lihotzky ideata nel 1926, e le innovazioni a basso consumo energetico usate nei Paesi in via si sviluppo. Nella rassegna c’è infatti lo zampino di World Food Program e Fao.
Il Maxxi, un Centre Pompidou capitolino
Insomma, il Maxxi non è un museo tradizionale. Questo è chiaro. La sua strada si avvia sempre più a farne una sorta di Centre Pompidou capitolino. La logica, infatti, è esattamente opposta a quella di attrarre visitatori con un’unica, clamorosa e pachidermica esposizione: nella struttura al Flaminio c’è al contrario la garanzia di scoprire sempre, in contemporanea, almeno quattro o cinque mostre in grado di regalare un’esperienza singolare. E anche quella sul cibo – curata da Pippo Ciorra e dallo staff di Maxxi Arte e Architettura – vivrà di una serie di performance ed eventi che ne completeranno e integreranno il senso. Si parte il 18 giugno con l’esibizione di Pedro Reyes, che con Grasswhopper metterà in scena il fast food del futuro, dove le proteine che oggi traiamo dalla carne saranno sostituite dagli insetti.
“Con questa mostra il Maxxi si assegna il compito di esplorare in profondità, far esplodere le contraddizioni legate allo spazio del cibo, croce e delizia, glamour e miseria dell’umanità – ha detto Ciorra – cerchiamo di farlo mettendo a confronto, senza filtri, le molte visioni del mondo e dello spazio del cibo, che si accompagnano a un tema che mette insieme profitto, moda e lusso con questioni di etica globale, biopolitica planetaria, emergenze sociali e umane che tolgono il respiro”.
Maxxi – via Guido Reni 4a, Roma
Fino all’8 novembre
Catalogo Quodlibet
Dal martedì al venerdì e domenica 11-19
Sabato 11-22
Info: www.fondazionemaxxi.it