Un gruppo di ricercatori giapponesi è riuscito a creare in laboratorio una mini bistecca superando uno degli ostacoli principali alla diffusione sulle nostre tavole della carne sintetica: dare una struttura alle cellule
Far crescere la carne in laboratorio è possibile da alcuni anni, da quando nel 2013 Mark Post (leggi qui l’intervista), visionario professore dell’Università di Maastricht, annunciò di aver creato il primo hamburger di carne artificiale. Tuttavia più che un hamburger si trattava di un ammasso di cellule bovine, con una consistenza che certo non ricordava quella della carne macinata.
Infatti ancora oggi uno degli ostacoli principali alla diffusione della carne sintetica è proprio l’incapacità di ricreare la struttura dei tessuti degli animali. Siamo in grado di far replicare in vitro le cellule, ma non di organizzarle in tessuti che contengono grassi, vasi sanguigni e materiale connettivo.
Un gruppo di ricercatori giapponesi dell’Università di Osaka ha però superato questo scoglio. Sono stati infatti in grado di organizzare le cellule in una struttura simile a quella di una bistecca. In questo modo, grazie alla loro tecnologia, è più vicina la possibilità di creare i classici tagli di carne che siamo abituati a trovare al supermercato.
Dalla cellula alla bistecca
Far crescere la carne in laboratorio è concettualmente abbastanza semplice: sì prelevano da un animale delle cellule staminali, ad esempio da un muscolo, e si fanno replicare in vitro nutrendole con un fluido adeguato. Le cellule crescono e una volta raggiunta la quantità prestabilita si prelevano, si cuociono e mangiano.
La svolta che arriva dal Giappone riguarda la forma che queste cellule assumono. Gli scienziati hanno infatti creato un simulacro di tendine utilizzato per orientare le cellule che vengono allineate con una sorta di stampante 3D. In questo modo si formano dei filamenti che ricordano i fasci muscolari. Queste strutture vengono poi prelevate manualmente e assemblate per creare il tessuto.
Una bistecca però non è fatta solo di muscolo, ci sono anche cellule adipose e vasi sanguigni. Così i ricercatori giapponesi hanno creato anche capillari e grassi che sono poi stati assemblati per creare una mini bistecca di 10 mm per 5 mm. Un bocconcino composto da 42 filamenti di muscolo, 28 tessuti adiposi e 2 capillari.
In questo modo si sono gettate le basi per superare uno dei quattro ostacoli che si frappongono tra i laboratori di ricerca e i banchi della grande distribuzione.
Le barriere alla carne sintetica
L’ostacolo principale a cui ricercatori stanno lavorando riguarda la capacità di produrre carne ad un prezzo competitivo rispetto a quello assicurato degli allevamenti moderni. Un chilo di carne di maiale costa oggi pochi euro, mentre se fosse di carne sintetica occorrerebbe staccare un assegno a quattro zeri.
In particolare a pesare sulla economicità del processo è il reperimento del liquidò di crescita, quel fluido contenente ormoni e nutrienti che serve alle cellule staminali per riprodursi e che oggi è di origine animale, ma che presto potrà essere replicato artificialmente.
C’è poi il tema della regolamentazione, visto che la carne sintetica prima di poter approdare sulle tavole dei consumatori dovrà necessariamente passare attraverso un iter autorizzativo. Il primo paese al mondo ad aver dato il suo ok a questo nuovo business e Singapore, dove lo scorso anno la startup statunitense Eat Just ha servito nel ristorante 1880 della carne coltivata in vitro. Il precedente più simile risale all’inizio dello stesso anno quando in Israele, in un ristorante di Tel Aviv, la startup SuperMeat ha fatto assaggiare carne di pollo sintetica senza tuttavia farsi pagare, ma chiedendo ai volontari solamente un feedback sull’esperienza culinaria.
In Europa l’immissione sul mercato di nuovi prodotti alimentari, i cosiddetti novel food, è regolata da precise norme europee a tutela dei consumatori. Per poter essere commercializzata all’interno dell’Ue la carne sintetica dovrà dunque dare prova di essere sicura per le persone e le prime aziende che vorranno affacciarsi su questo importante mercato dovranno dunque presentare corposi dossier.
La prassi è simile a quella che hanno seguito i produttori di insetti destinati al consumo umano, la cui approvazione è arrivata pochi mesi fa. In quel caso però le aziende si sono avvantaggiate del fatto che in altre parti del mondo gli insetti sono consumati abitualmente da centinaia di anni senza che mai alcun evento avverso si sia registrato.
E qui si pone il quarto ostacolo, l’accettazione sociale. Perché come per gli insetti, anche per la carne sintetica c’è già stata una levata di scudi. Si è andata a creare una spaccatura tra chi difende monoliticamente l’attuale stile di vita alimentare e chi invece vorrebbe innovarlo, non tanto per rimpiazzare totalmente gli allevamenti quanto dare la possibilità di scelta ai consumatori.
Una questione di comunicazione
Negli Stati Uniti le startup che lavorano in questo settore si sono unite in un’associazione denominata The Good Food Institute, che ha tra i suoi scopi quello di dimostrare l’opportunità economica, ambientale e sociale della carne sintetica e comunicare questi vantaggi all’opinione pubblica.
A partire dalla terminologia. Il termine ‘carne sintetica’ o ‘carne artificiale’ è entrato in disuso tra i giornalisti statunitensi, che hanno iniziato ad utilizzare il termine Clean Meat, cognato proprio dal The Good Food Institute. L’obiettivo era quello di trasmettere in maniera semplice tutti i pregi della carne in vitro.
I sostenitori della clean meat pongono una serie di questioni. Etica, in quanto con la carne in vitro si potrebbero eliminare o quantomeno ridurre gli allevamenti intensivi (anche di pesce). Economica, in quanto si aprirebbe un nuovo mercato, ad esempio per tutte le persone che sono vegetariane in quanto non vogliono causare sofferenza agli animali.
Inoltre sarebbe possibile soddisfare la domanda di nicchie di mercato. Facendo crescere la carne in vitro sarà ad esempio possibile produrre carne senza grassi, oppure con determinate proprietà nutraceutiche o ancora con texture e aromi che oggi semplicemente non esistono.
Ed infine ambientale, visto che la carne coltivata in vitro, quando la tecnologia sarà matura, avrà un impatto sull’ambiente di gran lunga minore rispetto all’attuale sistema produttivo. Basti pensare che oggi buona parte delle terre coltivabili è destinata alla produzione di mangime per gli allevamenti. Oppure che in Brasile la foresta amazzonica si sta contraendo proprio per far posto ai pascoli. Oppure che l’uso, talvolta scorretto, degli antibiotici in zootecnia può causare l’insorgenza di batteri resistenti.
Mangeremo dunque solo carne sintetica? Improbabile. Probabilmente questo prodotto sarà utilizzato come ingrediente nelle preparazioni, dalla pasta al forno ai nuggets, fino alle salsicce. Verrà dunque rimpiazzata la ‘vera’ carne solo in quei cibi dove l’origine ha scarso valore aggiunto. Mentre chi vorrà assaporare una fiorentina alla brace potrà sempre farlo.