L’ultimo investimento di Google Ventures, 15 milioni di dollari in una startup che vende previsioni ai contadini, riapre il dibattito sulla sorte del monopolio e dell’utilità dell’innovazione tecnologica nel settore primario internazionale
Il tema in fondo è sempre quello. Sono organizzazioni pachidermiche, trasversali, pigliatutto. Hanno liquidità devastanti che sono obbligate a investire, spesso ipotecando il futuro. O tentando di prenotarlo, immaginarlo, leggerlo. Forse occuparlo. L’ultima notizia riguarda il fondo d’investimenti di Big G, Google Ventures, che ha puntato forte su una startup agricola, Farmers Business Network.
Campi, sensori, milioni
Cosa fa questa startup? Sostazialmente sposa i big data all’agricoltura. Realizza cioè una serie di previsioni partendo da enormi moli di dati su semi e appezzamenti per sostenere gli agricoltori e aiutarli a far rendere i loro terreni sempre di più e sempre meglio. D’altronde c’è dietro lo zampino di un ex manager di Google, dunque i 15 milioni di dollari sganciati da Mountain View non sembrano poi così inattesi.
Come molti altri sistemi – in Italia sono per esempio molto avanzati quelli per la viticoltura di cui si è discusso qualche mese fa nell’ultima edizione di Enologica a Montefalco, Perugia – la società sfrutta dati pubblici e privati raccolti dalle più diverse fonti per stimare il rendimento dei raccolti, le previsioni meteorologiche e dunque le mosse giuste. Vendute agli agricoltori – quello il modello di business – per consentire loro di migliorare i raccolti e ridurre l’uso di fertilizzanti e pesticidi.
“I dati sono uno strumento per spingere la prossima ondata di guadagni in termini di produttività nell’agricoltura” ha detto Andy Wheeler, general partner di Google Ventures, che entrerà nel cda della startup a seguito dell’investimento. D’altronde i giganti della Silicon Valley e non solo sono sempre più ingolositi dai nuovi modi di nutrire il pianeta. Basti pensare che, secondo Dow Jones VentureSource, l’anno scorso gli investimenti nelle giovani aziende e nuove soluzioni per il settore agricolo e dell’industria alimentare hanno sfiorato i 490 milioni di dollari. Indoor farming, sicurezza alimentare, cibi e alimenti alternativi, robot e droni (ci sta puntando forte ormai da anni l’ex direttore di Wired Usa Chris Anderson con la sua 3D Robotics) per la coltivazione e supervisione dei campi e, appunto, big data e trattori.
La grande questione dell’agrobusiness in salsa hi tech
C’è tuttavia una grande questione aperta alla base di questa dinamica che toccherà il settore primario mondiale, non solo quello statunitense, più di quanto non lo abbia già fiaccato le multinazionali dei semi, dalla famigerata Monsanto alla DuPont passando per Singenta o Limagrain.
Si pone dunque una serie di nuove, inquietanti domande: le innovazioni nelle tecnologie agricole, che spesso finiscono sotto il controllo più o meno diretto delle multinazionali dell’hi-tech, del web e della finanza come fossero l’ultima app o l’ultima soluzione per lo smartphone, non rischiano di allargare ancora di più la forchetta del settore primario internazionale?
Gli agricoltori che acquistano i servizi di Farmers Business Network, per esempio, pagano 500 dollari l’anno per conoscere le stime e i rapporti forniti dalla piattaforma. Ai quali, fra l’altro, contribuiscono loro stessi consegnando dati sui precedenti raccolti, le tipologie di sementi e i prodotti utilizzati nel corso dei mesi. “Con informazioni più trasparenti – ha spiegato Charles Baron, co-fondatore di Farmer Business Network – riteniamo ci sia un modo migliore di fare agricoltura”.
Ottimo. Ma a chi sono rivolte quelle informazioni? Chi potrà avervi accesso? A quali costi e in quali tempi? Con quale incidenza nelle rese o per esempio nelle tariffe d’accesso a certi servizi, brevetti e prodotti? Serviranno a migliorare le condizioni dell’agricoltura nei Paesi in via di sviluppo o solo a spremere sempre di più quella occidentale? Insomma, i nuovi modelli di agrobusiness replicheranno i vecchi schemi applicati nel campo dei semi, dei fertilizzanti e dei prodotti chimici o serviranno davvero a migliorare la lotta contro fame, denutrizione, sottoproduzione e dumping internazionale?