Dopo le polemiche dei ristoratori, un parere del MISE equipara il social eating alla ristorazione tradizionale. L’ennesimo colpo basso alla sharing economy o tutela dei consumatori?
Si può invitare qualcuno a mangiare a casa propria? Ovviamente sì. E farlo pagare? La risposta a questo secondo quesito è negli ultimi mesi al centro di un acceso dibattito. L’ultimo intervento in ordine di tempo è quello del Ministero dello Sviluppo Economico, che per ovvie ragioni ha infiammato la discussione e messo in allarme gli attori del settore: la risoluzione che equipara l’attività casalinga a quella di ristorazione tradizionale, ha fatto esultare i pubblici esercizi e gettato nello sconforto gli osti improvvisati.
Insomma, sulla questione degli Home restaurant e sulla loro presunta illegalità si è fatto un gran parlare. E come al solito c’è chi si schiera dalla parte di ristoratori e ConfCommercio e chi è pronto ad accusare il Ministero dello Sviluppo Economico di ottusità per aver espresso un parere in materia, delicatissima, di sharing economy. Ma ripercorriamo con ordine i fatti.
I protagonisti
Social eating e Home restaurant sono fenomeni relativamente recenti. Con questi termini anglofoni si intende l’attività di chi apre la propria casa a estranei per una cena a pagamento. La piattaforma di riferimento per chi organizza cene con sconosciuti in Italia è Gnammo. I ristoratori, associazioni di categoria in testa, al dilagare del fenomeno hanno cominciato a fare la voce grossa accusando Gnammo&Co. di concorrenza sleale, di fare un’attività totalmente deregolamentata e di agire al di fuori della legge.
La risoluzione del MISE
Per rispondere a questa domanda di chiarezza il 10 aprile 2015 il MISE ha presentato una risoluzione nella quale equipara gli home restaurant alle attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande,con i conseguenti oneri del caso. In pratica, secondo il MISE, i soggetti che vogliono organizzare delle cene in casa propria ed essere pagati per la prestazione dovrebbero presentare la SCIA (la Segnalazione Certificata di Inizio Attività) o richiedere l’autorizzazione, se l’attività viene svolta in zone tutelate (ad esempio nel centro storico delle città); dovrebbero avere un piano HACCP, impianti e strutture a norma e via dicendo secondo quanto previsto dalla legge 25 agosto 1991, n.287, così come modificata dal 26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i. Il MISE, quindi, spalma una legge degli anni 90, pensata per i pubblici esercizi quando i fenomeni di sharing economy non erano nemmeno ipotizzabili, a soggetti privati che traggono profitto dalle cene svolte all’interno delle loro abitazioni equiparandoli a tutti gi effetti alla ristorazione più classica.
Il parere dell’esperto
Secondo Guido Scorza, avvocato esperto di digitale, l’approccio del MISE è corretto “perché più che occuparsi di Gnammo o delle piattaforme simili, si occupa di qualificare utenti che le utilizzano considerando Gnammo per quello che è, ovvero un servizio di comunicazione elettronica”. Il parere, quindi, ha una sua ratio. L’aspetto preoccupante riguarda invece il modo in cui i privati dovrebbero adeguarsi alla normativa “presentare la SCIA è un atto facile per un imprenditore o un ristoratore. Non si può dire lo stesso per i privati che non sanno materialmente come orientarsi. O si modifica la legge portando tali adempimenti a portata di un pubblico più ampio o se la si lascia così si ammazza l’iniziativa del privato”, spiega Scorza. “Inoltre il fatto che la casa di qualcuno aperta a un pubblico limitato possa equipararsi a un’attività ristorazione mi lascia perplesso. Mi pare eccessivo che il fatto di farsi pagare li equipari ai ristoranti. Se somministrino bevande e quindi debbano rimettersi a certe regole è giusto, che vengano considerati pubblici esercizi invece no” conclude l’avvocato.
Ora, posto che si tratta di un parere non vincolante, il timore è che alcune amministrazioni inizino i controlli a tappeto e scattino le multe. Timore fondato secondo Scorza “perché ora le autorità hanno una circolare che gli dice che la legge che hanno sempre applicato alla ristorazione tradizonale potrebbe applicarsi anche a questi nuovi soggetti. Certo, il parere non dice direttamente alle autorità di andare a controllare ma, di fatto, allarga l’ambito di applicazione della legge che l’amministrazione è tenuta a far applicare”. Gli utenti di Gnammo o i proprietari di home restaurant possono ancora dormire sonni tranquilli “Io come utente mi sentirei sereno. Per essere ancora più tranquillo farei una comunicazione al Comune di inizio attività” commenta Scorza. Il discorso cambia quando si parla delle norme HACCP “su quelle il parere del Mise non è molto chiaro. Bisognerebbe chiedere un parere direttamente al Ministero della Salute”.
Il disegno di legge sull’Home Food
L’attenzione derivante da questo parere del MISE ha riportato alla luce un disegno di legge già presentato nel 2009 da Bruno Alicata e Francesco Scoma, due senatori PdL, e ripresentato nel 2014, che legittima gli Home Restaurant distinguendoli dalle attività di ristorazione aperte al pubblico e riconoscendo la necessità di attribuire loro caratteristiche e regole originali. A supporto di questo ddl è stata lanciata anche una petizione online. “Io non sarei tanto entusiasta di questo disegno di legge che, in sostanza, non si differenzia molto rispetto alla risoluzione del Mise – commenta Scorza – se non per il fatto che è più vago e non cita riferimenti normativi specifici. Ma nel caso dovesse essere approvato, andrà modificato e dettagliato Ci penserei un paio di volte a dire che è la panacea di tutti i mali”.
Le conseguenze per Gnammo&Co.
Arrivati a questo punto della storia la domanda è piuttosto chiara: cosa succederà adesso? Con Gnammo e gli altri siti di home restaurant si replicherà quanto accaduto con Uber Pop? “L’impatto non sarà così dirompente – commenta Scorza – perché non è questione di lasciare acceso o spegnere un servizio come nel caso Uber, visto che nella risoluzione si parla degli utenti e non della piattaforma”. La palla, quindi, è in mano agli utenti: c’è chi si scoraggerà e pur di non avere grane si cancellerà da Gnammo o smetterà di organizzare cene e chi, invece, sceglierà di continuare con la sua attività. “L’importante è che il Governo si attivi al più presto con un provvedimento sulla sharing economy che sia in equilibrio tra le esigenze di tutela del consumatore e questi nuovi fenomeni”.