Sviluppato dalla software house Magari, è stato accelerato all’interno della Bologna Game Farm
La pandemia ha lasciato tracce in ognuno di noi. Ferite, drammi, o anche soltanto segni che hanno spinto le persone a riflettere. Non è possibile aver vissuto il 2020 in maniera indifferente. Concentriamoci dunque sull’impatto politico. «La storia del nostro videogioco è ambientata durante un lockdown, all’interno di una repubblica con sistemi di sorveglianza di stampo cinese». Francesco Alinovi, amministratore unico di Magari, una delle quattro software house (questa con sede a Parma) che hanno partecipato al percorso di accelerazione alla Bologna Game Farm, ha descritto così Flagship, videogioco in costruzione e, se tutto va secondo i piani, disponibile su PC dalla seconda metà del 2023. Finora vi abbiamo presentato le storie di Dreambits Studio e di Green Flamingo Studios, startup con titoli molto diversi tra loro, ma accomunati da atmosfere scanzonate e buffe. In Flagship le cose cambiano notevolmente.
L’aspetto senz’altro più affascinante di questo progetto videoludico è la storia alle spalle, con un messaggio politico sul quale non ci azzarderemo a dare troppi riferimenti. In un ambiente freddo e distopico il nostro protagonista è un ex poliziotto in cerca di sua figlia. La storia, come ci ha raccontato Francesco, verrà svelata di volta in volta da una voce narrante. E, per bocca dei suoi stessi creatori, ricorda quel Panopticon ideato dal filosofo Bentham alla fine del ‘700 come carcere ideale. «Siamo rimasti colpiti molto dall’attualità, dai sistemi di sicurezza e sorveglianza – ci ha detto l’amministratore di MAGARI, docente di media art alla NABA di Milano -. Con Flagship non vogliamo legarci all’attualità, ma senz’altro spingere i gamer a una riflessione. Se fai solo quello che ti viene detto non è detto che tu stia facendo la cosa giusta».
Partito come un progetto in realtà virtuale, Flagship si è scontrato con le analisi di mercato che alla Bologna Game Farm hanno mostrato agli sviluppatori prospettive di crescita non così rosee per questa nicchia. Ci sarà un parte di combat system, così come un’attenzione alle interazioni ambientali. «Il protagonista non ha la barra dell’energia, ma può andare in game over se le sue azioni lo portano a essere censurato. Se distruggi monumenti del regime perdi punti moralità», ci ha spiegato Francesco.
Di videogiochi che propongono un gameplay essenziale, al servizio di una trama distopica, alla Orwell, ve ne abbiamo già proposti. White Shadows, per esempio, è quanto di più vicino a La fattoria degli animali come prodotto videoludico. «Ci rivolgiamo a un pubblico maturo, proponendo meccaniche da rompicapo e da action game. E poi abbiamo puntato sulla dark empathy, che alla fine svelerà quel che realmente il nostro protagonista sta compiendo». Abbiamo avuto accesso in anteprima alla trama e a un video di gameplay di Flagship, ma preferiamo tenervi alla larga da possibili spoiler, per arricchire piuttosto l’articolo con spunti per gli sviluppatori e gli appassionati che ci leggono.
Su StartupItalia ci piace presentare le storie delle software house. Come è già capitato in altre circostanze, anche MAGARI è stata fondata da un prof e da un gruppo di ex studenti, poi diventati soci. «L’abbiamo fondata nel 2019 e ci siamo specializzati subito nel mondo della realtà virtuale». Progetti legati ad eventi e a occasioni pubbliche, dove i visori rappresentavano una parte fondamentale. «Poi è arrivato il Covid 19 e ha rallentato la nostra traiettoria». Senza più occasioni di incontro l’azienda ha dovuto ripensarsi, per sviluppare videogiochi da lanciare su PC e console. Flagship ha preso forma da quel periodo.
Non abbiamo materiale sufficiente per giudicare l’esperienza complessiva di Flagship, ma l’impronta stilista incuriosisce, soprattutto per queste tonalità al neon, oniriche, con dettagli che fanno percepire surreale e a volte inquietante la situazione. Partendo da PC, la software house non si è preclusa la strada per puntare, un domani, su Nintendo Switch. Tutto, ovviamente, dipenderà dalla capacità di attirare fondi e trovare un publisher disposto a credere nel progetto. Parlando proprio di questo è emersa una riflessione: c’è sì un gap culturale che in Italia vede ancora il gaming come settore non adatto agli investimenti (considerazione che non sta in piedi in buona parte del mondo). Eppure l’amministratore di MAGARI ci ha tenuto anche ad avanzare un’autocritica collettiva per chi fa impresa videoludica. «In Italia siamo molto affezionati alle idee: il videogioco è un’esperienza personale, in primis di chi lo crea, ma richiede la partecipazione degli altri per esistere. Questo significa venire a patti con se stessi. Molto spesso chi è imprenditore rimane fisso sulla sua idea».