L’opera prima di una software house davvero “narrativa”
Uscito nell’ormai lontano 2016, Firewatch è stata l’opera prima della software house indie californiana Campo Santo (acquisita poi da Valve pochi anni dopo). Si tratta di un walking simulator che, per atmosfera e colori, ci ha ricordato molto da vicino quelli assaporati in Lake, pubblicato nel 2021 (trovate in basso la nostra recensione). Sono videogiochi che, ciascuno a proprio modo, parlano di ripartenza. Che ci si voglia prendere una pausa dalla grande città, o trovare nuovi orizzonti dopo che la vita ci ha messo alla prova con mille difficoltà, la natura è il luogo forse più magnetico nella nostra immaginazione dove voltare pagina. Mollare tutto per ricominciare da un’altra parte. Disponibile da poco anche sul Game Pass, questa è la recensione di un titolo che suggeriamo a chi ha accesso alla libreria gaming di Xbox, per provare un’esperienza videoludica dalla forte impronta narrativa.
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Henry, il nome del protagonista, è un uomo che indossa ancora la fede alla mano sinistra. Non vogliamo dirvi che sapore ha il suo passato, anche perché è nei primi istanti di gioco che Firewatch dà una panoramica. Essendo un walking simulator, va da sè che si cammina (o corre, meglio) molto. Siamo nel cuore del Wyoming, fine anni ’80, ed è il nostro primo giorno come guardiano di un’estesa fetta di bosco: è negli Stati Uniti che la letteratura ha visto espresse le sue più splendenti immagini di wilderness, la natura selvaggia glorificata da scrittori come Thoreau. Il colpo d’occhio non vi deluderà.
In prima persona, Firewatch è un gioco che si snoda su un arco temporale di 79 giorni. Non illudetevi però: ne vivremo soltanto alcuni dal momento che il titolo dura poco più di quattro ore (aspetto che è sempre stato riconosciuto come uno dei principali difetti dell’opera: segno che l’esperienza meritasse molto, molto di più). E, in effetti, compito dopo compito la vita tra alberi e laghi ci dà un ritmo che riempie e non disperde la nostra mente in inutili pensieri e noie. Forse anche perché non siamo veramente soli. Nella nostra torretta, adibita a base e punto di appoggio, raccogliamo fin da subito il walkie-talkie che ci mette in contatto con una donna, Delilah. Di lei non conosciamo il volto, ma la voce è rassicurante.
Tra di noi si creerà un feeling interessante, fatto di domande, ordini (è lei il capo, dopotutto) e piccole complicità. Pur abbracciati da colori caldi e luminosi, la natura non è mai un luogo in cui sentirsi a proprio agio. Misteriose presenze (nulla di paranormale, intendiamoci) disturbano la nostra quotidianità e ci portano a una deviazione rispetto ai piani iniziali. Ma sulla trama non possiamo andare oltre.
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A livello grafico Firewatch è un titolo che mostra la propria natura indie sia per i pregi sia per i difetti. Questi ultimi si svelano soprattutto negli effetti pop up mentre camminiamo (con pezzi di natura che sbucano dal nulla mentre procediamo) e in una non fluentissima mobilità del nostro alter ego, forse troppo rigido; d’altra parte non si può non applaudire al lavoro grafico tanto sul paesaggio – maestoso – quanto sui particolari – rappresentati dai tanti oggetti che incontreremo. Non siamo di fronte a un open world, per quanto l’area da esplorare non sia proprio piccola a prima vista. Alcuni spazi sono inaccessibili e non è impossibile ritrovare la via servendosi della mappa cartacea (siamo nell’era pre internet, ricordate?). Ascoltate i rumori della natura e soprattutto seguite le fitte linee di dialogo con la nostra aiutante da remoto: è lì che molto accade.
Essendo a disposizione sul Game Pass suggeriamo Firewatch a tutti, anche a chi non ha mai provato un walking simulator e, per una volta, se la sente di concedere una chance a un genere di nicchia dove, per forza di cose, è la narrazione che deve compensare l’assenza di azione. Difficile, se non impossibile, parlare di longevità del titolo: invece di correre verso la meta, il nostro suggerimento è di non farsi prendere dalla fretta per esplorare invece tutto l’esplorabile. Ci impiegherete magari un’ora in più per giungere ai titoli di coda. Ma ne sarà valsa la pena.