Il sodalizio tra Square-Enix e Sony è più fortunato che mai. PlayStation 5 può contare ora su una nuova killer application?
L’ultimo RPG firmato Square-Enix ha tutte le carte in tavola per entrare nel mito. A iniziare dagli artisti che vi hanno assiduamente lavorato fino all’altro ieri: gente del calibro del compositore Masayoshi Soken, di Hiroshi Takai, Mitsutoshi Gondai e Kazutoyo Maehiro. Questo non ha salvato Final Fantasy XVI dalle critiche. L’accelerazione verso l’azione che Naoki Yoshida, acclamato per l’ottimo lavoro svolto con FF XIV ormai otto anni fa, ha voluto imprimere soprattutto al sistema di combattimento (affidato al designer Ryota Suzuki), non è difatti piaciuta a tutti i fan della serie che hanno iniziato a criticare il progetto ancora prima di poterlo giocare.
Final Fantasy XVI ha così iniziato a ondeggiare tra l’essere potenzialmente il capitolo più spettacolare e innovativo della saga e il rischio di essere quello distruttivo a farle da pietra tombale. Come sta succedendo a molte altre saghe nate in quegli anni, difatti, l’esigenza di svecchiare i propri canoni ha portato alla nascita di episodi poco riusciti, coaguli di errori e idee appena abbozzate, cui sono seguiti altri reboot e infine episodi restauratori delle meccaniche del passato. Andrà così alla saga JRPG per eccellenza?
Da Final Fantasy XIV questo nuovo capitolo eredita la mancanza di un vero e proprio party di eroi. Qui abbiamo un protagonista assoluto, Clive Rosfield, che seguiremo maturare e un buon numero di comprimari caduchi (in questo dark fantasy ci si ammala, si resta menomati in battaglia, si riportano ferite gravissime non curabili e si muore pure) che non diventano gregari, che restano sullo sfondo ma non per questo incapaci di fare le proprie scelte in via autonoma.
L’accelerazione action del sistema di combattimento è legata a doppio filo alla sterzata della sinossi verso il dark fantasy di stampo occidentale. In più occasioni Final Fantasy XVI regala l’impressione di essere una costola del Trono di Spade, imbastendo una recita che riguarda regni secolari, stratificazioni economiche, sociali, culturali e perfino razziali e mettendo sul proscenio un buon numero di intrecci politici dall’esito spesso nefasto. Il continuo richiamo ai lupi esplicita il peso che i libri del buon George R. R. Martin devono aver avuto nello sviluppo di questo videogame nipponico.
Naturalmente c’è spazio per i viaggi onirici tipici della saga, che chiamano in causa dei ed esseri sovrannaturali, ma mai come questa volta le due anime sono scisse e, purtroppo, malamente amalgamate, tanto che si avverte quasi una ipotetica divisione in capitoli. Ancora più evidente la presenza di un gameplay bicefalo, che alterna dungeon lineari in cui di fatto si combatte e basta con l’esplorazione di mappe aperte, nelle quali la trama ha modo di evolvere e voi di conoscere meglio il mondo di gioco. Ma si tratta di una bipartizione troppo rigida, troppo impalcata, troppo evidente.
Nei prodotti datati 2023 vorremmo gameplay sinuosi e flessibili che rendano impossibile scorgere le strategie del team di sviluppo (e, peggio ancora, le loro insicurezze, che puntualmente palesano ancora di più i tentativi sperimentati). Ma soprattutto non vorremmo più il backtracking obbligatorio: Final Fantasy XVI contiene ancora troppe missioni che costringono il giocatore a interrompere con l’avanzamento della trama principale per reperire ingredienti e oggetti in zone già esplorate del mondo di gioco. Queste trovate utili ad allungare il brodo possono animare side quest ma non le missioni principali.
Un altro elemento piuttosto datato riguarda l’alto numero di informazioni a schermo che interrompono l’azione, mettendo il gioco in pausa alla fine della battaglia, la fine di una subquest, la sconfitta di un personaggio…
Dove invece Final Fantasy XVI si rivela innovativo è nella spettacolarizzazione degli scontri, soprattutto quelli titanici tra Eikon, con mostri che esondano anche dal televisore più grosso. Si tratta di veri balletti, più che di aspre battaglie, da eseguire inanellando tattiche speciali, parate e schivate, in un tripudio di effetti pirotecnici.
Il risultato è un JRPG spesso complesso da interpretare, soprattutto se lo si deve recensire, con le sue sfaccettature e le sue mille contraddizioni, esattamente come l’universo in cui si innesta questo sedicesimo capitolo: stratificato, complicato e incredibilmente curato. La resa ludica degli scontri non piacerà ai puristi ma permetterà ai neofiti di avvicinarsi a un JRPG mastodontico senza avvertirne il peso. Applausi a scena aperta poi al versante artistico: dalla colonna sonora, che regala brividi lungo la schiena alla resa di personaggi, scenari e doppiaggi (splendido pure quello in italiano: al leggio Alessandro Capra per Clive Rosfield, Arturo Sorino per Joshua, Ilaria Silvestri per Jill Warrick, Alberto Angrisano per Cidolphus Telamon, Francesco Rizzi per Hugo Kupka, Luca Appetiti per Dion Lesage, Fabrizio Dolce per Barnabas Thalmr e Katia Sorrentino per Benedikta Harman).
Insomma, non è un capitolo perfetto, ma è quello che ha acceso le polveri della rivoluzione. È l’episodio che rappresenta il turning point, la palla di neve che rotolando dà poi inizio alla slavina. Indietro non si torna e Final Fantasy non sarà mai più come prima.