Uno studio indipendente del Lussemburgo ci propone un tuffo nei ricordi. Perché i titoli da sala giochi non si sono affatto estinti come i Dodo
Cinque euro circa per partite infinite. Probabilmente, al cambio attuale, considerata l’inflazione, la banconota da inserire nel cabinato di Donut Dodo è un taglio spropositato, rispetto alle poche lire che spendevamo, negli anni ’80, nelle sale giochi. Tuttavia, occorre considerare che con 5 euro non porterete a casa solo una serie illimitata di partite, bensì pure una giostra di ricordi e una ridda di emozioni. Soprattutto se, come noi, avete superato da un pezzo gli “enta”…
Leggi anche: Arcade Paradise, il business delle sale giochi ri-decolla nel 2022?
Donut Dodo, abbasso l’estinzione
Le startup che si sono affacciate sulla scena videoludica hanno immesso nel mercato una serie infinita di titoli arcade, vuoi perché in quel sottobosco si muovono sviluppatori che hanno vissuto appieno gli anni ’80 e ’90, vuoi per via del fatto che in questo modo è possibile sviluppare titoli molto divertenti a costi davvero bassi. E nessuno si lamenterà mai della qualità delle animazioni, della grafica o delle musiche.
Quando si parla di giochi simili, che strizzano l’occhio al passato e fanno leva sul fattore nostalgia, insomma, bisogna stare attenti a distinguere tra le operazioni un po’ furbette e quelle, invece, capaci di divertire sul serio. Donut Dodo appartiene senza timore di smentita a quest’ultima categoria, riuscendo a ripescare dall’armadio il meglio di quanto l’industria videoludica di quegli anni è riuscita a offrire.
Leggi anche: Formula Retro Racing, sulla next gen corse da anni Novanta
Leggi anche: Arcade Spirits The New Challengers, sfide eSports e amori in sala giochi
Nella produzione lussemburghese si rintracciano un po’ tutti i principali protagonisti dei platform da sala giochi, a iniziare da Nintendo: c’è infatti parecchio Donkey Kong, un po’ di Wrecking Crew e pure una spolverata di Ice Climbers nei 5 livelli a schermo singolo (più una fase bonus), che si caratterizzano per offrire al giocatore una meccanica di gioco distinta ciascuno. In pratica, proprio come in DK, il passaggio da un quadro all’altro sovverte anche leggermente il gameplay.
Rispetto ai coin op di un tempo, qui i fondali sono forse un po’ troppo pregni di dettagli e così non è sempre facile distinguere ciò che è un semplice oggetto d’arredo da ciò che ha finalità ludica (abbiamo impiegato un po’, per esempio, per riuscire a vedere le funi cui appenderci nel quadro della giostra, mentre all’inizio eravamo spaventati dalle ragnatele e temevamo rappresentassero una sorta di trappola). Se a questo si aggiunge che il modo migliore per affrontare è muoversi in continuazione e agire d’istinto, si capisce perché questi frangenti possano risultare un po’ frustranti.
Leggi anche: Pinball Freedom, su Switch torna la vecchia sala giochi
A parte questi difetti di natura comunque marginale, il risultato complessivo è davvero godibile, tanto più per via del fatto che la colonna sonora chiptune è stata firmata da CosmicGem, tra gli artisti più attivi nella nicchia delle musichette per videogiochi dei tempi che furono.