Cosa è cambiato rispetto al capolavoro uscito due anni fa?
Spesso ci si accorge del tempo che passa solo quando, di un videogioco particolarmente amato e atteso, ci ritroviamo di colpo a recensire la remastered, o, come in questo caso, la Director’s Cut. Perché Death Stranding è stato senz’altro uno dei titoli più attesi, assieme a Cyberpunk 2077, della passata generazione di console. Ma, ridendo e scherzando, sono già passati due anni dall’arrivo del gioco di Hideo Kojima sul mercato (sul fatto se meritasse o meno l’hype che è riuscito a generare, i videogiocatori dibattono furiosamente ancora oggi) e oggi appunto ci ritroviamo a recensire Death Stranding Director’s Cut, per PlayStation 5.
Riassunto delle puntate precedenti
Per molti, l’ultima fatica di Kojima è stata una esperienza mistica, un viaggio in se stessi prima ancora che in una America devastata dall’apocalisse. Per altri si è rivelato invece “il giochino dei corrieri”, dove plot visionari e attori di grido servivano solo a dare corpo a un gameplay che consisteva semplicemente nel consegnare pacchi e pacchetti da un punto all’altro della mappa, provando nel frattempo a sopravvivere.
Tutto qui? Non proprio, perché stava a voi, alle vostre abilità e alla vostra fantasia addomesticare un mondo ritornato primordiale, selvaggio e pericoloso, costruendo piccole o grandi infrastrutture, come ponti, scale e perfino strade. Infrastrutture che comparivano anche nelle partite di altri giocatori, che potevano sfruttarle o perfino potenziarle. E voi stessi potevate partecipare alla costruzione di una nuova route 66 che tagliasse a metà il continente americano, permettendovi di dimezzare i tempi delle consegne. Cosa pensiamo noi del gioco di Kojima ve lo abbiamo già detto tempo fa, nella recensione scritta dal buon Alessandro Di Stefano. Qui proveremo invece a comprendere cosa porta in dote Death Stranding Director’s Cut.
È il momento di Death Stranding Director’s Cut
La storia ovviamente è sempre quella e vedrà sullo schermo del vostro salotto comparire, oltre a Norman Reedus, anche il regista Guillermo del Toro, Madds Mikkelsen (il nemico di James Bond in Casino Royale), Léa Seydoux (Palma d’oro a Cannes per La vita di Adele) e Lindsay Wagner (protagonista della serie TV degli anni ’70 La donna bionica). Di contro, in Death Stranding Director’s Cut troveremo un buon numero di armi e macchinari extra in più, pensati per agevolare la curva di apprendimento ed evitare quei fastidiosi “salti” nella difficoltà notati da alcuni videogiocatori soprattutto nelle fasi iniziali, quando si veniva buttati a bagno senza salvagente e in poco tempo bisognava imparare a nuotare.
Ma, non temete, nessuna delle nuove armi a disposizione del nostro Sam Porter Bridges, ancora una volta impegnato nel difficile compito di ricucire un’umanità spersa, impaurita e sfilacciata, comporta la tanto temuta ‘deriva verso un pubblico casual’ che pure ha caratterizzato l’intero mercato videoludico negli ultimi 20 anni. Certi oggetti facilitano il gioco, è vero, ma Kojima è intervenuto con saggezza per evitarne l’abuso e per controbilanciarne comunque l’uso. Anche lo zainetto quadrupede che ci aiuta a trasportare un maggior numero di oggetti, per esempio, ha limiti notevoli d’utilizzo e, soprattutto, non vi permetterà di ottenere le valutazioni migliori dal cliente qualora decidiate di sfruttarlo.
E poi c’è la moto col carrellino, sogno di ogni rider: ecco, appena abbiamo iniziato a guidarla ci siamo detti che lì Kojima aveva fatto la pipì fuori dal vasino, adulterando eccessivamente il gameplay, fino ad annacquarlo e a ridurlo in continue corse in motocicletta. Poi, la prima volta siamo finiti in un burrone, morendo sul botto; la seconda volta abbiamo evitato il burrone ma preso in pieno un masso grosso così che ci ha distrutto la due-ruote e, soprattutto, buona parte del carico. Lì abbiamo capito che non l’avremmo più ripresa dal garage. Insomma, più che facilitare l’esperienza, i nuovi armamentari la diversificano nella maggioranza dei casi.
Poi, comunque, c’è sempre l’inedita modalità “Molto difficile” che, rispetto a quella del gioco originale, funziona davvero (anche nelle boss battle) e saprà intrattenere chi cercava una nuova sfida dopo aver platinato l’intero titolo. Tra le novità, il nostro Sam ha ampliato pure le mosse corpo-a-copro a disposizione, sebbene non ce ne siamo mai serviti e, soprattutto, il suo talento da MacGyver: pensate che ora potrà perfino edificare un intero circuito per lasciarsi andare a roboanti corse su bolidi a quattro-ruote che lo distraggano per qualche minuto dalla distruzione che alberga ovunque.
Se sia possibile e credibile mettersi a competere in un mondo devastato sono interrogativi che lasciamo volentieri a voi (ma Kojima ci ha abituato a ben altre stranezze). Noi ci limitiamo a segnalare che il sistema di controllo è semplicemente irritante ed evidenza troppo come il gioco sia nato con altri scopi, rendendo così questa parte una appendice fin troppo posticcia di Death Stranding Director’s Cut. Un’altra delle novità che non ci ha conquistato è stato il mini jetpack che ci salva dalle cadute più rovinose: anche quello ci è sembrato molto accessorio.
Certo, giocare a Death Stranding Director’s Cut dopo una pandemia che ha trasfigurato il nostro pianeta e la nostra società, che ci ha costretti a rifugiarci nelle case e a temere il contatto col prossimo, conferisce all’opera di Hideo Kojima tutt’altro sapore. Qua e là sembra perfino che il genio nipponico avesse previsto tutto. Se due anni fa Death Stranding era “solo” l’ennesimo videogioco fantascientifico che vi portava a sentirvi soli e sperduti in un mondo letale, la Director’s Cut sembra più un’opera che contiene sprazzi di presente vissuto in prima persona da ciascuno di noi. Ma queste sono considerazioni troppo soggettive e personali per rientrare nella valutazione del videogioco.
Videogioco che è e resta una delle migliori e più intense esperienze vissute in compagnia di una console negli ultimi anni. Forse Kojima avrebbe potuto concentrarsi di più e meglio sulle funzionalità del DualSense (abbiamo comunque apprezzato il modo in cui ha sfruttato gli altoparlanti) anche se le vibrazioni ben sottolineeranno le asperità del terreno e la difficoltà del nostro Sam nell’attraversarlo, mentre la grafica, grazie all’hardware di PS5, risulta ancora più pulita (purtroppo ogni tanto il frame rate traballa) e la linea d’orizzonte si è spostata un po’ più in là. Insomma, se lo avete mancato due anni fa, adesso non avete più scuse: dovete comprarlo. Se già lo avete platinato, invece, l’acquisto o meno dipenderà da quanto avete amato il titolo originale e se scalpitate per tornare in questo angosciante mondo in cui l’umanità sta svanendo.