La guida più famosa al mondo ha chiuso gli uffici di Melbourne e Londra: c’è posto per lei in un mondo senza viaggi?
A livello globale, oggi, quasi una guida di viaggio su tre (31,5%) è una Lonely Planet. Cosa ne sarà nei prossimi mesi e anni, con il 96% del traffico aereo a terra e l’industria dei viaggi paralizzata fino a data da destinarsi? Le guide blu sono uno dei feticci della globalizzazione, ognuna di quelle che teniamo in uno scaffale dedicato delle nostre librerie è il piccolo manifesto di una tendenza che sembrava inarrestabile, parallela al destino stesso dell’umanità: l’ONU aveva previsto che i viaggiatori internazionali sarebbero diventati 1,8 miliardi entro il 2030. Il problema era più come mettere a freno i viaggi, come limitarne gli effetti nocivi, come renderli più sostenibili. Nessuno avrebbe immaginato che all’inizio dell’estate 2020 ci saremmo trovati a implorare le persone di viaggiare ancora, appena sarà possibile.
In un articolo pubblicato un paio di settimane fa su Vanity Fair, il co-fondatore di Lonely Planet, Tony Wheeler, ha mostrato lo stesso ottimismo di sempre, quello che ha fatto di lui un evangelizzatore del bisogno di scoprire il mondo, a dispetto di tutte le paure che lo stesso mondo poteva suggerire. «Di solito, dopo eventi disastrosi – attacchi terroristici, terremoti, tsunami, cicloni – è straordinario quanto velocemente la gente si rimetta di nuovo in viaggio», ha scritto. Nell’azienda che Wheeler e la moglie Maureen hanno venduto nel 2011 l’atmosfera è diversa: Lonely Planet ha chiuso gli uffici di Londra e Melbourne, ha interrotto la pubblicazione del magazine britannico (quello italiano resiste) e la divisione Trade and Reference. Ha annunciato tagli al personale, ma ha tenuto aperte le sedi di Dublino e del Tennessee. Il piano è quello di concentrarsi sul core business – le guide «È un giorno triste e difficile per tutta la famiglia Lonely Planet», ha detto Piers Pickard, director of publishing.
Le origini della guida: il giro lungo in minivan
Il mito delle origini di Lonely Planet sembra il mito delle origini di tutto il viaggiare come lo conosciamo oggi, l’esperienza curiosa, disordinata, spontanea, vitale che ogni biglietto aereo per l’Asia che abbiamo comprato nella nostra vita ha invano provato a ricreare. Tony e Maureen erano due ventenni anglofoni, completamente privi di quel pessimismo post-traumatico che hanno tutti i millennial e generazioni successive. Si erano dati una cosa che oggi nessuno ha: il tempo. Facciamo un viaggio? Facciamolo. Ci mettiamo un anno? Facciamo tre. Volevano arrivare da Londra all’Australia e decisero di fare il giro lungo, perché negli anni ’70 i giri lunghi non avevano contro-indicazioni esistenziali, geopolitiche, economiche. Tony e Maureen guidano il minivan da Londra all’Afghanistan, e poi una lunga, calma esplorazione dell’Asia, poi l’Australia. Gira il mondo, conosci gente interessante, prendi appunti.
Poi c’è la parte della storia in cui gli appunti sono diventati un libro. Era il 1973, abitavano a Sydney, Tony si occupava di marketing in una casa farmaceutica, Maureen lavorava per un produttore di vino. Gli amici gli chiedevano consigli per i viaggi, e loro alle fine produssero un piccolo oggetto editoriale, con quel titolo perfetto, ingenuo, un’icona in cinque parole. Across Asia on the Cheap. Lo vendevano libreria per libreria, lo ristamparono due volte. (Poi è stato ristampato in edizione contemporanea nel 2013). Ci avevano preso gusto, e ne scrissero un altro, Southeast Asia on a Shoestring, altro titolo perfetto. Quasi involontariamente, non avevano inventato solo una guida, ma un modo di pensare il mondo. Il terzo libro, quello sull’India, inaugurò il format contemporaneo, la Lonely Planet. Tony e Maureen ormai facevano questo di lavoro, scrittori ed editori di guide. Era il 1981, avrebbero portato avanti il business fino al 2011, trent’anni dopo, quando hanno venduto prima il 75% (2007) e poi il restante 25% a BBC Worldwide.
L’essenzialità del viaggio
Tony Wheeler non fa più l’editore, ma ha continuato a viaggiare e scrivere libri. Nel 2019 ha pubblicato Perché viaggiamo? In difesa di un atto vitale. Un titolo vagamente passivo aggressivo: già prima del CoVid-19, il mondo sembrava meno a misura di Lonely Planet. Quel miliardo di persone in procinto di diventare quasi due entro il 2030 muove una massa enorme e insostituibile di soldi, ma porta con sé comportamenti, abitudini, prepotenze, inquinamento, peggioramento della qualità della vita. Il turismo come stile di vita globale stava già cercando un equilibrio nuovo.
Il rapporto del World Travel & Tourism Council e McKinsey intitolato Coping with Success elenca gli effetti negativi dell’overtourism: alienazione dei residenti, esperienza turistica degradata, infrastruttura sovraccarica, danni all’ambiente, minacce alla cultura locale. Il destino dei viaggi e di Lonely Planet è incerto come ogni cosa al mondo, oggi. Tony Wheeler era in un’isola dello Yemen quando è scoppiata l’emergenza: è riuscito rocambolescamente a tornare a casa., «Non vedo l’ora che arrivino i resoconti affascinanti di quelli che non sono tornati a casa, che sono rimasti dovunque fossero, e che hanno viaggiato attraverso l’Africa, il Sudamerica o altri luoghi schivando le frontiere chiuse e, speriamo, stando alla larga dal coronavirus». È un altro dei paradossi della pandemia: l’uomo che più di tutti ci ha spinto a lasciare casa nostra, ora vuole conoscere le storie di come ci siamo tornati.