Sembra un videogame nipponico fino al midollo, grondante la medesima follia, invece arriva da una startup canadese
Ormai abbiamo perso il conto degli universi paralleli assurdi visitati grazie ai videogiochi. Soprattutto quelli sviluppati in Giappone spesso abbondano con gli elementi farseschi e grotteschi, catapultandoci in realtà involontariamente parodistiche. Non eravamo mai atterrati, però, in un mondo in cui metà della popolazione ha il potere di trasformarsi in arma bianca (spade, katane, coltellacci e scimitarre…) mentre l’altra metà quello di maneggiarle… ehr… È quanto succede in Boyfriend Dungeon, particolarissima produzione di una startup canadese, Kitfox Games, fondata da Tanya X. Short e Xin Ran Liu,
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Gli appuntamenti galanti affilati di Boyfriend Dungeon
Un pretesto tanto strampalato serve solo di fare da collante, alla bell’e meglio – dobbiamo ammetterlo -, alla fusione di due generi videoludici molto differenti tra loro: quello del dating simulator con la categoria dei dungeon crawler. Il risultato è un titolo piuttosto all’acqua di rose, in cui come prevedibile nessuna delle due anime viene espressa pienamente.
Ci spieghiamo meglio: nonostante sia un dating simulator, ovvero un simulatore di appuntamenti galanti (avventure testuali molto in voga soprattutto in Giappone), è praticamente impossibile fallire nella conquista. Certo, questo non vuol dire che tutte le avventure si tramuteranno in storie di lenzuola: spesso costruiremo splendide amicizie, ma ci saremmo attesi storie maggiormente intricate, che ci invitassero a ragionare maggiormente quando c’è da scegliere tra più risposte possibili, temendo che l’interlocutore possa alzarsi e andarsene, o scagliarci il drink in faccia.
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Sul fronte del dungeon crawler, Boyfriend Dungeon non è più profondo: si sale di livello con una facilità disarmante e benché anche i nemici divengano più forti a mano a mano che ci si infila in profondità nei sotterranei, si ha sempre l’impressione che restino uno o due gradini sotto di noi, così da non costringerci mai a ritornare sui nostri passi per craftare.
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I boss stessi, del resto, possono essere passati per le armi senza nemmeno studiare la loro routine d’attacchi. Sono cinque – due si ripetono, per la verità – e subiranno la nostra ira senza fiatare. Anche i dungeons non ci hanno entusiasmato per varietà. In compenso, il titolo canadese, per quanto scarno e non approfondito come avremmo desiderato, si rivela snello, flessibile e giocabilissimo.
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Verona Beach, la controparte virtuale di Miami nella quale ci muoveremo tra localini per single, centri commerciali e discoteche, è pansessuale e poliamorosa: potremo quindi incontrare tutti i comprimari che vogliamo, quindi impugnarne (ehr…) le rispettive armi senza scelte e preclusioni di sorta. I vari intrecci narrativi procederanno in parallelo, e più che intrecci saranno appunto delle rette, data la loro semplicità e propensione a non sfiorarsi nemmeno, come se nessuno dei personaggi che frequentiamo fosse a conoscenza degli altri o avesse modo di influire sulle altre relazioni.
Ma questo è anche uno dei punti di forza del videogioco canadese, che ci permette così di chiudere tutti gli archi narrativi senza riniziare la partita una volta completata l’avventura (dura più o meno cinque ore). Al netto dei difetti e delle mancanze, abbiamo davanti una sorta di Pokémon Dungeon dal sapore adolescenziale e maliziosetto, che accompagnerà i giocatori in due generi di nicchia in una sorta di volo planato: si sfiorano le avversità e le ramificazioni classiche di quelle categorie, senza affrontarle mai davvero. Il prodotto ideale, insomma, per i neofiti che cercano qualcosa di più del solito dungeon crawler o un dating sim maggiormente votato all’azione che non si esaurisca in schermate da leggere. Il prodotto ideale, insomma, da giocare in spiaggia, senza troppo impegno, su Nintendo Switch (ma è disponibile pure su Xbox One e Steam).