Tra i titoli più interessanti e promettenti del 2021 un videogioco sviluppato da Experiment 101, formato da appena 20 persone
La rediviva THQ Nordic ha deciso di correre un campionato a sé, quello rappresentato dai piccoli studi di sviluppo, o startup innovative, che ha inglobato e finanziato. Capita così che uno dei titoli più attesi del 2021 sia programmato da un piccolo studio svedese, Experiment 101, fondato dall’allora Goodbye Kansas Game Invest (oggi Amplifier Game Invest) e dal veterano dell’industria videoludica Stefan Ljungqvist. Parliamo di un team composto da sole 20 persone, capaci però di sviluppare Biomutant, titolo che, fin dalle premesse, aveva annunciato di voler ibridare (mutare?) generi di riferimento e meccaniche di gioco. Ci sarà riuscito?
Le mille (e più) mutazioni genetiche di Biomutant
Come la stessa THQ Nordic ha ricordato qualche giorno fa, anche in modo sorprendentemente duro, Biomutant non è sviluppato da uno studio tripla A. Non ha insomma alle spalle Nintendo o Sony. In più, ha avuto un parto particolarmente travagliato se si pensa che le prime foto apparvero nel 2017, mentre il gioco sarà distribuito soltanto tra qualche ora, a 2021 ormai inoltrato.
We are not AAA and the studio behind Biomutant consists of only 20 people. They have been working very hard on this game for the last years – you don’t have to like the final product but please don’t question their skill or dedication to the game.
— THQ Nordic (@THQNordic) May 20, 2021
E allora sappiate subito una cosa: Biomutant arriva sulle vostre console piuttosto grezzo, poco rifinito, talvolta claudicante e spesso pure un po’ anacronistico. È come se, almeno per certi versi, fosse più un gioco “di ieri”, che di oggi. E qui rivela non solo la limitatezza del budget, che in campo tecnico è dimostrata da scatti del frame rate e da animazioni non sempre ottimali (talvolta molto buffe), ma pure le sue origini che si perdono nel tempo, affondando nel 2017. Un’era fa, inutile negarlo.
È un gioco che resta sospeso, tanto sotto il profilo tecnico, quanto sul versante del gameplay, tra la vecchia e la nuova generazione di console. Probabilmente, se fosse uscito nel ’17, lo avremmo accolto altrimenti, invece ora le recensioni contraddittorie non mancheranno, come pure – temiamo – qualche insufficienza.
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Come va valutato Biomutant? Provando a raffrontarlo in tutti i modi a un Ghost of Tsushima o a uno Zelda – Breath of the Wild, il cui sviluppo ha richiesto un investimento stellare, oppure tenendo sempre in considerazione le risorse limitate degli sviluppatori?
La domanda resta aperta perché non esistono risposte giuste e sbagliate. Noi, dal canto nostro, abbiamo deciso, per redigere questa recensione, di tenere sempre ben in mente le origini di Biomutant e i limiti dati dalla sua provenienza, ma questo non significa che faremo sconti quando saremo chiamati a elencarne i difetti. Anzi, ve li diciamo subito: giocando troverete tantissima carne al fuoco, presentata malamente, che rende il titolo dispersivo; un sistema di combattimento caotico, privo di un vero e proprio lock on che fa il paio con un controllo del protagonista impreciso e spesso zoppicante e con una telecamera fastidiosissima; dialoghi estremamente prolissi e noiosi e un motore tecnico vecchierello, anche se il comparto stilistico nasconde sotto il tappeto un buon numero di magagne.
Come vedete, non abbiamo intenzione di fare favoritismi. I difetti più grossolani li abbiamo snocciolati subito, a inizio articolo. Ma da qui in poi vedremo però anche ciò che Biomutant offre sull’altro piatto della bilancia: una esperienza incredibilmente lunga, dannatamente stratificata, sorprendentemente longeva.
Il respiro dei mutanti?
Di base, il titolo dei ragazzi svedesi di Experiment 101 potrebbe davvero essere un The Legend of Zelda – Breath of the Wild: vi butta infatti in una mappa enorme, liberamente esplorabile, dicendovi che ai quattro lati si trovano altrettanti boss (i Mangiamondo) da sconfiggere, mentre al centro c’è la fine del gioco (il castello di Hyrule qui è stato sostituito dall’Albero della Vita).
Ecco, sembra che gli sviluppatori, trovato il modello cui ispirarsi, abbiano poi passato gran parte del tempo infarcendolo di particolari. Insomma, sull’impalcatura apparentemente semplice (ma non semplicistica) del titolo Nintendo, è stato ulteriormente edificato un sistema di razze, divisione tra bene e male, classi e pure gameplay molto distanti tra loro, con la progressione per livelli e gli alberi delle abilità tipiche degli RPG/Action RPG e un sistema di combattimento zeppo di combo e mosse speciali classico dei picchiaduro (ci mancano le famose ‘mezzalune’ di Street Fighter, ma ci siamo comunque vicini). Col rischio di non eccellere in alcun tempo e scontentare un po’ tutti.
E qui si inizia a realizzare che talvolta operare per sottrazione è meglio che continuare ad aggiungere; che la magnificenza di un’opera come Zelda sta nell’essere tanto immediata, per chiunque, quanto incredibilmente profonda. Come del resto chi vuole scrivere un buon libro deve avere in testa una bella idea, perché se si limiterà a inanellare paroloni sofisticati il suo escamotage sarà svelato dopo appena poche pagine.
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E infatti che Biomutant sia un’opera, almeno a tratti, inutilmente stratificata da apparire perfino ridondante lo si intuisce dopo alcuni secondi di gioco, quando ci verrà chiesto di scegliere tra razze (Primal, Dumdon, Rex, Hyla, Flip e Murgel) che differiscono per abilità e peculiarità senza che ci sia chiarito cosa comporti la nostra decisione. Allo stesso modo ci verrà chiesto di scegliere tra la luce e l’oscurità (una sorta di angioletto o un diavoletto), ma anche questa nostra scelta andrà operata casualmente, senza comprendere quali ripercussioni avrà sul gioco. E, come se tutto ciò non bastasse, dovremo stabilire pure il “job” del nostro bizzarro lemure mutante, che poi è l’unica cosa che sembra un po’ più comprensibile, visto che determineremo se sarà più bravo nel corpo a corpo o negli attacchi a distanza (Dead eye, Commando, Psi-Freak, Saboteur e Sentinel).
Ma l’aspetto più folle è rappresentato dal fatto che, trascorsa una buona mezz’ora editando il proprio personaggio e leggendo ciascuna statistica attribuita alle razze e alle classi che sceglieremo, finiremo in una schermata in cui il gioco vi dirà: “abbiamo scherzato, qui inclinando lo stick potrete decidere davvero le caratteristiche di base del vostro eroe”, schermata che peraltro non solo lega le statistiche all’aspetto fisico (potenziando enormemente l’intelligenza avrete un capoccione, puntando tutto sui muscoli, un corpo enorme), costringendovi ad operare un compromesso tra estetica e sostanza, ma addirittura permette di azzerare le caratteristiche legate alla razza e alla classe scelte…
E non è ancora finita, perché dovrete pure decidere a quale agente patogeno (calore, freddo, radioattività e rischio biologico) è più o meno immune / più o meno esposto il vostro procione radioattivo. Anche qui si brancola nel buio: soltanto giocando scoprirete che esistono zone altamente nocive che possono essere superate solo avendo una buona resistenza di base, quella che determinerete casualmente però ore prima, subito dopo aver avviato i titoli, giochicchiando con le impostazioni pur di iniziare, finalmente, l’avventura. Nulla di irreparabile, perché potrete potenziare (anche se molto meno) la resistenza agli altri agenti patogeni, ma pure qui ci sarà da livellare a lungo il personaggio.
E qui entra in gioco l’aspetto che rende Biomutant estremamente longevo. Se, all’inizio, per avanzare, basterà premere a casaccio i tasti deputati all’attacco, molto presto le insidie saranno tante e tali da costringervi ad affinare tecniche, armi, abilità. Qualsiasi voce è potenziabile ed espandibile: dall’equipaggiamento alle statistiche (e l’equipaggiamento, spesso, se costantemente aggiornato, sovverte persino le caratteristiche del personaggio), passando ovviamente per le mosse d’attacco, difensive e di contrattacco. I menu, per quanto chiari, abbondano di sottomenu, ogni voce, se selezionata, apre la via ad altre caratteristiche… Rimanere atterriti è il minimo.
Abbiamo finito qui con le presentazioni? No, perché superato il tutorial vi accorgerete che il vasto mondo di gioco è suddiviso tra sei fazioni (tribù) in lotta tra loro: tre per il male (auspicano persino l’abbattimento dell’Albero della Vita), altrettante per il bene. Starà a voi decidere quale appoggiare e anche lì potreste rivoluzionare quanto fatto fino a quel momento, sterzando bruscamente verso la cattiveria più nera o la bontà totale. Scelte destabilizzanti che, però, per gli sviluppatori, sottolineano l’attenzione riversata al libero arbitrio del giocatore e alla possibilità di giocare partite sempre differenti (ma difficilmente rinizierete daccapo Biomutant, ve lo garantiamo).
Emanciparsi da Biomutant
A conti fatti, non è sempre facile vedere tutta questa libertà d’azione, nelle nostre peregrinazioni. Tra aree in cui non possiamo ancora entrare, missioni o sottomissioni sempre ben presenti sullo schermo, si ha fin troppo spesso l’impressione di procedere da punto A a punto B e poi C, fino all’infinito, schiacciati da tutte quelle informazioni che vi abbiamo sommariamente presentato.
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Per completare in tutta fretta il gioco principale abbiamo impiegato circa 16 ore e vi confessiamo che abbiamo galoppato, pur di arrivare ai titoli di coda prima che scadesse l’embargo per la pubblicazione della recensione di Biomutant.
Ma gli sviluppatori sostengono che per completarlo al 100% occorrano almeno 60/70 ore e non stentiamo a credergli, vista la vastità della mappa e l’alto numero di side quest. Perdersi per il mondo decadente e corroso dalle sostanze nocive di Biomutant è un vero piacere: alcune aree sono davvero bellissime (fondono in maniera poetica scheletri di città e industrie, antiche vestigia di un mondo a noi famigliare, con la giungla che ha preso il sopravvento, infondendo ogni volta un gran senso di tristezza) e non sfigurerebbero in uno Zelda o in uno Xenoblade. Altre, soprattutto quelle desertiche e innevate, un po’ più posticce e meno particolareggiate ma, sebbene non siano poche le sbavature che ci ricordano i limiti di questa produzione, come già anticipavamo il comparto artistico riesce a camuffarle più o meno sempre. A volte sorprende la cura con cui sono stati realizzati nemici colossali che poi, in movimento, fanno ridere per la grossolanità delle loro animazioni e per le compenetrazioni con il resto dell’ambiente: è evidente che seguiranno un po’ di patch dopo il lancio.
Ora però lo spazio va finendo e noi ci siamo dilungati abbastanza. Bisogna allora rispondere alla domanda del titolo: il gioco dell’anno è stato firmato da una startup? No. Inutile girarci ancora attorno. Biomutant non è un titolo capace di ambire a tanto per tutte le ragioni fin qui descritte. Ma, esattamente come i mutanti, è una creatura insolita, in grado di spaventare e intrigare allo stesso tempo: è sorprendente e claudicante, divertente e goffo, serio eppure parodistico. Non è quello Zelda con pantegane o Ghost of Tsushima con lemuri che, a tratti, lungo il suo interminabile sviluppo, avevamo creduto di vedere.
È qualcosa di diverso, di più farraginoso e talvolta inutilmente complesso (non parliamo di difficoltà). Ma soprattutto si lascia dietro alcuni errori davvero grossolani, come il sistema di controllo e la telecamera, le cui gestioni risultano troppo alla buona per un gioco così ramificato. Però è anche un titolo insolito e in grado di divertire per molte ore, anche se non tutti avranno voglia di arrivare a vedere i titoli di coda. Ma, soprattutto, è un videogame sviluppato da 20 persone, capace di monopolizzare l’attenzione di stampa e pubblico. Qualcosa vorrà pur dire. Non per tutti i palati, ma merita di essere provato.